31 marzo, 2008

I Liguri ed i Siculi nel Lazio

Oggi giorno i Liguri sono ritenuti un’etnia mediterranea forse originaria della penisola iberica (o delle isole britanniche) cui si sovrapposero genti indoeuropee, Siculi, Latini, Osco-Umbri, Celti… In particolar modo, dovettero essere molto stretti i legami con i Siculi, come attestano la tradizione (Siculo era un mitico re dei Liguri secondo Servio) ed i dati toponomastici (Segesta, Entella, Lerici-Erice sono toponimi liguri e siculi: Segesta Tigulliorum è l'attuale Sestri Levante, mentre l'antica Segesta dell'isola mediterranea fu alleata di Atene contro Siracusa, durante la seconda fase della Guerra del Peloponneso, conosciuta come spedizione in Sicilia). Alcuni studiosi ipotizzano un’origine camitica, altri una protoaria.

I libri di Storia, anche quelli aggiornati, quando trattano le origini di Roma, comunque avvolte nelle nebbie della leggenda ed ardue da ricostruire, dopo aver ricordato il racconto di fondazione con protagonisti Romolo e Remo, si perdono in elucubrazioni su villaggi neolitici e gruppi di popolazione di incerta etnia e provenienza, per concludere che l'Urbe fu fondata da genti che subirono l'influsso etrusco, sabino e latino. Di rado si rintraccia un riferimento alla quarta stirpe, i Veneti che, presumibilmente mescolatisi con le tre genti sopra citate, formarono i Romani, non etnia dunque, ma melting pot.

Mai si ricorda - ed è omissione non da poco - che tra i più antichi abitanti del Latium vetus, bisogna annoverare i Liguri.

Il Lazio fu terra d’insediamento dei Liguri, stando a Dionigi di Alicarnasso. Secondo la leggenda, ripresa da Virgilio, il centro di Alba Longa fu fondato da Ascanio, figlio del troiano Enea. Il poeta latino, inoltre, in Aen. VIII, 329-332, ricorda le gentes Sicanae e l’antico nome del Tevere, ossia Albula, il fiume che nasce dai monti. "Alb/alp" è tipica radice ligure, con il significato di "monte, altura, vetta". Un altro morfema diffuso nella vastissima regione in cui, in età protostorica, si erano insediati i Liguri, è "pen", con il valore di "catena montuosa, crinale". Si pensi all'Appennino.

Nell’area del Septimontium sarebbe esistito un piccolo abitato siculo, Saturnia, il quale, assieme ai primitivi villaggi del Palatino, la sede poi scelta da Romolo per fondare l’Urbe, dovrebbe costituire l’antecedente di Roma. Secondo alcuni storici, nella regione solcata dal Tevere si succedettero gli Aborigeni, quindi i Liguri cui si sovrapposero i Siculi. In seguito altre migrazioni indoeuropee crearono un ulteriore rimescolamento, con apporti di genti dedite per lo più alla pastorizia, al commercio del sale, ma anche al brigantaggio.

Il Lamorati fa risalire l'inizio della grandezza dei Liguri a Tirreo, figlio del re della Lidia, Soura. Egli, desiderando acquistarsi la gloria col valore del proprio braccio, salpò dalla sua terra con altri valorosi e pervenne nel mare che da lui fu detto Tirreno. Infine sbarcò sulla costa. Fondò numerose città, tra cui Luni, Parma, Verona ed altre. Come per gli Etruschi, si ventila una possibile provenienza orientale, forse da intendersi come penetrazione nella penisola di gruppi originari dell'Asia minore, poi assorbiti da popoli autoctoni. Resta, però, a mio parere, da escludere una genesi orientale dei Liguri, soprattutto per la diffusione presso questa etnia formata da rudi pastori ed agricoltori, gelosi della loro libertà, del simbolo del cigno, animale tipicamente nordico, legato al mito di Fetonte e ad un remoto retaggio iperboreo.

Fonti:

E. Callegari, Appunti per una storia di Sarzana
R. Da Ponte, I Liguri. Etnogenesi di un popolo. Dalle origini alla conquista romana
A. De Pascale, I Liguri. Un antico popolo europeo (sic) tra Alpi e Mediterraneo, Genova, 2004
Zret, Il mistero dei Liguri, 2007

29 marzo, 2008

La bilancia: il concetto di libero arbitrio è arbitrario?

Libero arbitrio è, semplificando, la possibilità di optare tra A e B. Se consideriamo il codice genetico, l'influsso dell'ambiente e mille altri fattori anche invisibili ed ancestrali, che cosa resta del libero arbitrio? Se valutiamo che, in alcuni casi, riusciamo a prevedere il futuro, se ricordiamo la non-causalità e l'atemporalità come elementi suscettibili di mettere in discussione la libertà, ci si chiede quali siano gli spazi per decisioni autonome.

Non aveva forse torto Nietzsche che considerava il libero arbitrio una bugia vitale. Il discorso è, in parte, ozioso poiché nel momento in cui la massa rivela totale incapacità di preservare un minimo di individualità e di dignità, che senso può avere disquisire di libertà? Gli individui-involucri sono sballottati di qua e di là, incantati da ferali sirene: sono liberi? Sono liberi, però, i pochi consapevoli?

Assistiamo ai soliti deja-vu talmente facili da preconizzare che se ne possono anticipare persino i particolari. L'unica libertà che ci resta è quella interiore, coincidente con la chiaroveggenza, una sonda interpretativa che va in profondità. E’ questo presumibilmente il vero senso della “volontà di potenza”, concetto tanto spesso frainteso e banalizzato.

Forse il pensiero concentrato su certe profezie e presagi ne determina, almeno in una certa misura, il loro adempimento. E' possibile che, in un'altra dimensione, come suggerisce il paradosso del gatto di Schrodinger, si dipani un corso differente degli eventi. Del resto la fisica quantistica, con la sua logica non convenzionale, prospetta molteplici direzioni degli accadimenti, aprendosi verso un'ampia indeterminazione, ma, se consideriamo l'iter degli avvenimenti in questa sfera di realtà, siamo tentati di assimilare il libero arbitrio ad un'illusione ottica della coscienza.

Ogni risoluzione ci pone di fronte ad un bivio e noi crediamo di soppesare tutti i pro ed i contro sui piatti della bilancia: purtroppo, oltre ai pesi visibili che collochiamo noi, spesso con grande ponderazione, sui piatti sono posti pesi invisibili che fanno pendere la bilancia da una delle due parti. Sono pesi invisibili, ma decisivi.

Non è un caso se le divinità del Destino, originariamente, non avevano volto.

27 marzo, 2008

2013: l’anno del contatto o dello sfratto?

Secondo Michael Salla, l'O.N.U., l'Organizzazione dei nazisti uniti, rivelerà nel 2013 l'esistenza di civiltà extraterrestri per preparare l'umanità al contatto con esseri di altri mondi. Mi pare una delle tante notizie volte solo ad intorbidare le già torbide acque dell'esopolitica. E' vero che in questi ultimi anni gli avvistamenti di U.F.O. si sono intensificati e che ciò sembrerebbe preludere ad uno spettacolare atterraggio di astronavi aliene sulla terra, ma la questione va affrontata con lucidità, per non lasciarsi raggirare dai mendaci media di regime.

In primo luogo molti degli oggetti avvistati sono sfere legate all'operazione scie chimiche: sulla natura e la provenienza di queste sfere non possediamo ancora dati sicuri. Inoltre molti O.V.N.I. sono falsi realizzati con sofisticati programmi informatici; infine parecchi
velivoli esotici (soprattutto quelli triangolari) sono, in realtà, oggetti terrestri. Ne risulta che l'incremento degli avvistamenti di ordigni di probabile origine stellare è, tutto sommato, piuttosto lieve.

Di converso cresce in maniera sospetta l'interesse dei media e delle istituzioni per le tematiche legate a presunti esseri dello spazio. A chi, però, ci stiamo davvero riferendo? Quelli che alcuni esponenti o ex esponenti dei governi ed i loro portavoce, infiltrati nei principali centri di studi ufologici, presentano come visitatori di altri mondi forse NON sono extraterrestri, ma esseri scaltri e spietati che occorre considerare demoni, descritti già in antichi testi e definiti Arconti, come nel Vangelo detto di Giovanni nonché in molti documenti gnostici.

Sembrano quindi esseri interdimensionali e probabilmente proteiformi o androidi come i famosi e famigerati Grigi. Gli extraterrestri, ossia gli abitanti di lontani sistemi stellari o non sono mai approdati sul nostro pianeta (secondo tale supposizione, i vari Andromediani, Arturiani, Siriani, Ummiti etc. sarebbero solo degli alieni fittizi creati dagli Arconti per confondere le idee, instillare vane speranze, controllare la popolazione, creare fenomeni come il cultismo, rafforzare credenze di tipo superstizioso con le Madonne ologrammi) o sono una minoranza trascurabile indifferente ai destini di Gaia. Si potrebbe congetturare che i visitatori di altri pianeti non siano riusciti ad oltrepassare le barriere erette dagli Arconti a difesa di intrusi a loro sgraditi. I Dominatori considerano la terra ed i suoi abitanti loro proprietà. Viene in mente l'aforisma di Charles Fort: "Noi siamo proprietà di qualcuno". Si può anche pensare che, come lasciano intendere alcuni controversi resoconti, gli extraterrestri evoluti siano stati sconfitti da entità scellerate. Non sappiamo se la debacle degli "amici" sia stata definitiva.

In questo quadro così nebuloso ed incerto un elemento mi pare un po' più sicuro: se i sinarchisti riusciranno entro il 2012 ad instaurare il Nuovo ordine mondiale, per il 2013 potrebbero prevedere un contatto con FALSI alieni, in realtà androidi al servizio del regime, o cloni o creature olografiche (la tecnologia per questi "effetti speciali" è già ad uno stadio avanzato). Il tutto rientrerebbe nel solito gioco di specchi cui siamo abituati, a causa del quale, tra amici (pochissimi), falsi amici e nemici (la stragrande maggioranza ed abilmente mescolati tra loro), alla fine chi vince è sempre colui che agisce dietro le quinte. Come escludere che questi FALSI alieni siano destinati, dopo un iniziale collaborazione (è ovvio che si tratterà di una sceneggiata) ad essere demonizzati per scatenare un altro pseudo-conflitto simile a quello che si combatte oggi contro presunti e fantomatici nemici islamici. Per gli Arconti è un continuo risiko, un gioco di guerra, in cui è tutto finto, fuorché la morte e la distruzione.

Auspichiamo che, se proprio bisogna attendere tanto a lungo, il 2013 non sia l’anno di un finto contatto, ma in cui i demoni saranno finalmente sfrattati, espulsi dalla Terra e precipitati per qualche migliaio di eoni nell’Inferno da cui provengono, insieme con i loro complici terrestri.

25 marzo, 2008

Sangue ed aerei

Recentemente è stata rinnovata la grafica di un sito di eroici ed integerrimi avieri. Sul lato sinistro campeggia un bellissimo logo con una goccia di sangue che circoscrive la sagoma di un velivolo. Il marchio è molto simile a quello di una nota, anzi famigerata, compagnia telefonica, a sua volta identico, come ha dimostrato Capitano Nemo, al simbolo del Ku Klux Klan. (Vedi Simboli non casuali). Che bella famigliola!

Di là dalla bruttezza infinita che contraddistingue il logo del portale summenzionato, non si deve dimenticare il significato sinistro che assume la stilla di sangue (è anche un sei sotto mentite spoglie e forse un serpente) attorno all'aeroplano. E' uno di quei casi in cui una sconvolgente rozzezza iconografica si abbina, meglio, si incista ad un valore scellerato, stigio. Tra l'altro questa goccia rossa non sembra avere alcuna attinenza con un sito di baldanzosi emuli di Francesco Baracca.

Non sembra... appunto.

24 marzo, 2008

Introspective

In un suo racconto, Ray Bradbury, lo scrittore noto specialmente per i romanzi Cronache marziane e Fahreneit 451, dipana un intreccio molto semplice. E' una tiepida serata primaverile ed un uomo decide, dopo cena, di uscire per passeggiare nel viale di aceri che costeggia il villino in cui abita. Pochi raggi di sole, simili a capelli color tiziano, si impigliano ancora fra le chiome degli alberi e spira una brezza gradevole. Mentre il crepuscolo avvolge, con le sue dense ombre il quartiere, il protagonista passeggia tranquillo intento ad ascoltare il fruscio delle fronde ed il soffio delle civette, quando all'improvviso, un agente-robot gli intima di fermarsi, chiedendogli i documenti ed i motivi della sua passeggiata solitaria. L'uomo, che non ha con sé alcun documento, spiega di essere uscito per prendere una boccata d'aria e per ristorare lo spirito. "Non hai forse in casa un televisore?", lo incalza l'agente. "Che bisogno hai di uscire, quando la televisione ti offre decine di canali e centinaia di opportunità di intrattenimento?"

Già, il televisore, questo focolare tecnologico attorno a cui si radunano le famiglie per illudersi di condividere la solitudine e per comunicare la propria incomunicabilità.

Il protagonista della novella avverte, invece, l'esigenza di restare con sé stesso, di restare in ascolto delle voci e delle vibrazioni della natura. La realtà, al tempo stesso al di fuori ed all'interno di noi, non può essere appiattita sullo schermo di un televisore, ma deve essere toccata, respirata, odorata. Si sente l'esigenza di viverla, di ritrovare un contatto con la natura e con l'essere, di gettare uno sguardo nello specchio sui cui danzano le ombre fuggevoli dei pensieri. Anche solo un istante, per uno sguardo introspettivo, per riscoprire una libertà interiore ed il senso profondo, ineffabile dell'esistenza. Anche solo un istante, lontano dai volgari lenocinii della televisione, dall'identità senz'anima, quella riportata su un documento.

Siamo anime: non siamo le aride cifre del codice fiscale.

22 marzo, 2008

Amor

Che cosa si può scrivere di originale su un argomento come l'amore? Una breve indagine etimologica forse ci dà l'occasione di aggiungere una piccola tessera al mosaico che raffigura questo sentimento. Le parole italiane "amore" ed "amare" non sono di origine indoeuropea, bensì mediterranea: sono vocaboli espressivi e popolari che già in latino soppiantarono presto il verbo di matrice indogermanica lubet, lubere, non a caso offuscatosi nel significato e contrattosi a denotare solo l'amore sensuale. Lubet risale ad un forma più antica leubh, "provar piacere" (la voluttà dei sensi), con riscontri nell'area indiana, slava e germanica: si pensi al tedesco lieben ed all'inglese (to) love, amare. A lubet, infatti, si lega lubido-libido. Il termine libido si riferisce, nell'ambito degli indirizzi psicanalitici, proprio all'impulso erotico, lato sensu.

L'amore vero è rarissimo: siamo sicuri che i nostri slanci verso gli altri siano scevri di scorie egoistiche? Ora, pur senza considerare, sulla scia di alcuni pensatori dell'Illuminismo, l'amore sempre e comunque una sublimazione di istinti egoistici, dall'autoconservazione all'autogratificazione che si prova quando ci si sacrifica per il prossimo, è pur vero che l'amore disinteressato è una mosca bianca. Quando l'amore consuona con l'armonia, è veramente sublime: armonia con sé stessi, con gli altri e con la natura. Aiutare i diseredati, i sofferenti, gli infermi, le vittime delle iniquità, senza dimenticare né gli animali né le piante, significa elevare la nostra umanità e spiritualità.

Forse spesso cerchiamo l'amore là dove non esiste: in un rapporto esclusivo, chiuso, geloso con un partner, uomo o donna che sia. Proviamo a cercarlo altrove: lo troveremo nello sguardo di un animale, in un albero che accoglie i pettirossi tra i suoi rami, nel silenzio di un amico. Amare i propri nemici? E' nostro dovere agire affinché si ravvedano e la smettano di appoggiare le legioni del Male, ma la battaglia degli uomini amanti della giustizia non ammette compromessi, quando è necessario contrastare le "operazioni diaboliche".

Essere disposti a perdonare le offese, i torti e le intemperanze degli altri è auspicabile. Di fronte ad un ravvedimento sincero, la riconciliazione è sempre di grande giovamento. La sorgente dell'amicizia e dell'empatia è fecondatrice. Evitare l'odio ed il risentimento è auspicabile, poiché gli spiriti magni, come ci insegna Nietzsche, non sono vendicativi, ma l'amore non può essere disgiunto da un profondo senso di giustizia (non quella umana) e dall'anelito alla verità, per cui è ineludibile denunciare gli inganni, le ipocrisie e ritenere che i demoni, insieme con i loro aiutanti terrestri, debbano essere tormentati nell'inferno per un lasso di tempo commisurato alla gravità delle loro colpe ed alla pervicacia con cui le hanno perpetrate e perpetuate.

Per molti la permanenza nella Gehenna per alcuni milioni di anni è doverosa. Dopodichè si vedrà...

20 marzo, 2008

Se...

Nelle Historiae, (V, 9) Tacito riporta in modo laconico degli eventi cruciali per la storia di Israele: "Dein iussi a C. Caesare effigiem eius in templo locare arma potius sumpsere, quem motum Caesaris mors diremit", ossia "poi ricevuto il comando da Gaio Cesare (ossia Caligola) di collocare la sua stata nel tempio, preferirono prendere le armi, ma la morte di Cesare interruppe la sedizione."

Nel passo sopra riportato lo storico latino si riferisce alla decisione dell'imperatore Caligola (37-41 d.C.) che volle fosse collocato un simulacro che lo raffigurava nel tempio di Gerusalemme. L'elevazione di Gaio alla porpora imperiale sembrò dapprincipio promettere un periodo di politica romana conciliante verso gli Ebrei, poiché il principe ebreo Agrippa era fraterno amico del nuovo imperatore ed aveva persino subito la prigione, in quanto suo sostenitore, durante il regno di Tiberio. Gaio diede prova del suo apprezzamento, assegnando ad Agrippa la tetrarchia che era stata di Filippo, insieme col titolo di re. Tuttavia Gaio era destinato a minacciare la religione israelitica del più grave oltraggio alla sua sacralità dai tempi del sovrano seleucide Antioco Epifane. Caligola era convinto del proprio carattere divino. Nel 41 d. C, i Gentili di Jamnia, apprendendo che l'imperatore era ossessionato dall'idea della propria divinità, per compiacerlo, gli eressero un altare. Filone afferma che i Gentili avevano intenzione di provocare gli Ebrei che furono indotti a distruggere l'ara. L'azione fu riferita a Roma dal procuratore. Il principe prese l'azione come un'intollerabile contumelia e per vendicarsi ordinò al legato di Siria di innalzare una colossale statua nel Tempio di Gerusalemme. Il legato temporeggiò, consapevole dei rischi che comportava un'offesa così plateale alla religione ebraica e che il fronte orientale su cui premevano i Parti sarebbe rimasto sguarnito, dovendo ricorrere ad ingenti forze militari per attuare il progetto. Alla fine, dopo alterne vicende, Caligola morì e la profanazione del santuario, con tutte le conseguenze immaginabili, non fu perpetrata. I Giudei si persuasero che era stato YHWH a causare la morte dell'esecrato principe ed a salvare il Tempio dall'abominazione.

Ora, non penso che Dio intervenga in modo così plateale nella misera storia umana, anche se senza dubbio gli Ebrei del tempo credettero in un intervento dell'Altissimo. Gli avvenimenti mi paiono, invece, dimostrare che da tempo immemorabile gli uomini sono inclini ad attendere un aiuto esterno che si invera in un evento liberatorio, decisivo. Davvero YHWH intervenne nel 41 d.C. per evitare l'irreparabile?

Oggi, in modo parossistico, essendo ormai la situazione giunta ad un punto di non-ritorno, molti attendono un accadimento epocale. La Terra è torturata, l'umanità non è mai stata tanto corrotta, la cultura è affossata, la tecnologia ed il sistema sono ormai sul punto di violare l'identità personale: si prospetta un mondo abitato da automi, da schiavi dalla mente controllata, ridotti in uno stato miserando, malaticci, debolissimi, ebeti. E' questo il futuro che si prospetta, se... Molti attendono un cambiamento epocale: qualcuno è convinto che Cristo tornerà, dopo che sarà stato sconfitto l'Anticristo, qualcuno pensa che saranno gli alieni benevoli a smascherare ed a esautorare l'infame sinarchia, qualcuno crede che un mutamento cosmico e vibrazionale consentirà agli uomini di elevarsi ad un livello superiore di realtà... Sogni, pie illusioni, chimere? Non lo so. So che la misura è colma ed i tempi sono maturi, perché veramente mai il pianeta è l'umanità sono stati così vicini all'abisso, soggiogati come sono dal Male. Forse sarà instaurato il Nuovo ordine mondiale e niente e nessuno potrà sottrarsi a tale immane sciagura, passaggio obbligato prima di una palingenesi. Potrà l'umanità salvare sé stessa? Domanda retorica.

Senza...

18 marzo, 2008

Maria Maddalena

Sono stati versati fiumi di inchiostro su Maria Maddalena e non ambisco a scrivere alcunché di originale: vorrei, però, esprimere il mio parere su questa figura, protagonista di tante leggende medievali e ritratta da insigni artisti. In primo luogo, credo che la Maria Maddalena e la Maria di Betania dei vangeli canonici siano la stessa donna. E' noto che nei Vangeli spesso alcuni personaggi sono sdoppiati: ad esempio, Simone Barjona e Simone Zelota sono lo stesso discepolo del Messia. E' improbabile che Barjona significhi "figlio di Giona", valendo con ogni probabilità "partigiano", quindi "zelota".

Da una lettura spassionata, oggettiva ed acuta dei quattro libretti, si è tentati di ipotizzare che Maria Maddalena, personaggio realmente esistito o fittizio poco importa, fosse la consorte del Messia (regale). Il suo ruolo, il rapporto privilegiato con il Nazireo (ella è la prima donna a vedere il Maestro dopo la risurrezione: vedi Giovanni 20:11-17) paiono addirsi ad una persona il cui amore e devozione per Gesù erano forse sanciti dal matrimonio.

Jacopo da Varagine nella Leggenda aurea, redatta intorno al 1265, fondendo diverse tradizioni anche eterogenee, raccontò di Maria Maddalena salpata dalla Palestina, insieme col fratello Lazzaro e la sorella Marta, alla volta di Marsiglia, su un'imbarcazione senza vele né remi. Credo si tratti di una narrazione priva di fondamento storico: tra l'altro Lazzaro-Eleazar morì nella fortezza di Masada nel 73 d.C. combattendo strenuamente contro i Romani. Circa Eleazar, il cui nome è una variante di Lazzaro, Giuseppe Flavio, nella Guerra giudaica (II, 17, 448), ci informa che era legato da vincoli di parentela con Menahem, figlio di Giuda di Gamala.

“E' curioso notare come Lazzaro fosse figlio di Giairo e come il miracolo di Lazzaro, misteriosamente narrato nel solo Quarto vangelo, abbia la sua esatta corrispondenza in quello della resurrezione della figlia... di Giairo raccontato nei sinottici!" (G. Tranfo)

Considererei dunque leggendaria la presenza di Lazzaro a Marsiglia, come primo vescovo della città.

L'episodio evangelico in cui è riportato l'esorcismo di Cristo che scaccia dalla Maddalena sette demoni, secondo vari studiosi, adombra un significato metaforico, da collocare in un quadro di simbologie, poiché Cristo e la Maddalena, di là dal ruolo storico non ben accertato e conosciuto, sono anche figure principiali. In tale contesto, i sette demoni potrebbero evocare gli Arconti preposti ai pianeti ed allontanati o contrastati dalla sinergia tra gli esseri cosmici originari: solo dal ricongiungimento tra il principio maschile e quello femminile, lato sensu, tra Anima ed Animus, scaturisce l'armonia. Purtroppo il passo del Vangelo detto di Luca è molto scarno: l'autore riferisce soltanto che "alcune donne erano state liberate da spiriti maligni e da malattie: Maria, detta Maddalena, dalla quale erano usciti sette demoni..." (Luca 8: 3). Tuttavia questo cenno, col valore emblematico del numero sette, pare dimostrare nei canonici l'esistenza di un piccolo nucleo gnostico-simbolico poi amalgamato o giustapposto ad altre fonti, in particolar modo quella ellenistica, non senza qualche traccia del Cristianesimo facente capo a Giacomo, il fratello del Signore.

Maddalena significa originaria di Magdala, a sua volta, da migdal, "torre". (1) E' per questo motivo che nell'iconografia, ella è talora associata ad una torre, come nel misterioso e suggestivo quadro di Giorgione, La tempesta. L'abate Sauniere, devoto alla santa, ordinò l'edificazione, a Rennes Le Chateau, di un edificio chiamato Torre di Magdala. La costruzione occulta valenze esoteriche.

E' appena il caso di rammentare che, se si prescinde dalla riflessione sulle immagini simboliche spesso intrecciate ad eventi storici, la cultura si impoverisce e si appiattisce. Così anche le leggende circa la discendenza della stirpe davidica tramite la Maddalena potrebbero assurgere ad una verità astorica ed esoterica: a questa verità forse alludeva il pittore George La Tour che dipinse alcune tele in cui la santa sembra essere in attesa.

Anche La Tour significa la torre: è naturalmente solo una coincidenza.

(1) La torre, in primo luogo, allude all’axis mundi. Come molti simboli, può evocare significati sia positivi sia negativi.

17 marzo, 2008

Polis senza polizia... un'utopia

Aristotele affermò che l'uomo è zoòn politikòn. L' espressione greca è generalmente tradotta con "animale sociale". E' una resa errata e gravida di conseguenze deleterie. Zoòn politikòn, infatti, significa, "essere che vive nella polis". Lo Stagirita intendeva sottolineare che l'uomo si realizza solo nelle dinamiche interpersonali all'interno della città-stato; il filosofo poneva un limite più che magnificare la virtù dell'uomo come animale capace di interagire nel contesto sociale e politico. Oltre la polis, si estende il dominio della barbarie. Aristotele non poteva concepire uno stato, un'organizzazione che travalicasse le istituzioni ed i confini della polis.

Non ho intenzione di discutere circa la natura dello stato, argomento molto complesso, ma solo tracciare un parallelo fra il concetto di comunità e quello di polis. E' naturale che la società perfetta non esiste, ma bisognerebbe tentare di perseguire un modello anti-statale, di tipo amministrativo, inteso come male minore rispetto ad un organismo Leviatano che ha acquisito potere soverchio nei confronti dei cittadini (in verità sudditi), promettendo loro la sicurezza. Sicurezza? Se non esistessero le forze di polizia e la magistratura, la nostra vita sarebbe davvero meno sicura di quanto non sia già ora? Se un ladro ci aggredisce e ci deruba, se un avvelenatore inquina l'aria, l'acqua ed il suolo, se un folle uccide sparando all'impazzata, a chi ci rivolgeremo per avere giustizia? Con quali speranze di ottenerla? Sono davvero tutori dell'ordine i tutori dell'ordine o la loro presenza, nel migliore dei casi, si può reputare inutile? Esistono le eccezioni, ma una rondine non fa primavera.

E' vero: ogni tanto viene recuperata della refurtiva ed imprigionato un assassino, ma coloro che distruggono la pace con le loro missioni "umanitarie", chi sparge veleni in quantità industriali, chi tortura innocenti, (si pensi agli ignominiosi fatti di Genova del 2001), chi trafuga somme ingentissime, imperversa liberamente, sicuro dell'impunità. Lo stato tartassa, diseduca (si pensi al sistema scolastico, pur con qualche eccezione), debilita e diffonde patologie (vaccini obbligatori), soffoca la libertà, vilipende la cultura, in cambio di che cosa? Della pseudo-sicurezza e di qualche servizio. Sono servizi che potrebbero essere erogati da una piccola comunità ben organizzata, in cui non sia previsto né un sistema fiscale (con le imposte dirette ed indirette si finanziano per lo più le guerre e l'operazione "scie chimiche") né una polizia né una magistratura né un esercito. Sono consapevole che la democrazia diretta è un'utopia, che l'assemblearismo rischia di degenerare nel caos, ma non è forse il caso di impegnarsi per disegnare un modello di amministrazione non coercitiva, facendo leva sulle capacità e le attitudini dei singoli?

Senza dubbio gli uomini manifestano tendenze perniciose per sé e per gli altri, ma alcuni mostrano intelligenza ed altruismo. Forse questi ultimi potrebbero essere di esempio e promuovere un embrione di società incentrata sul lavoro creativo, sul rispetto per gli altri e per l'ambiente. Tutto ciò è irrealizzabile? Esistono e sono esistite delle comunità basate sulla collaborazione e non sull'homo homini lupus. Non erano e non sono perfette, ma sono di gran lunga preferibili allo stato stritolatore oggi imperante, anticipazione del mostruoso stato globale.

Abbiamo rinunciato alla libertà ed alla dignità in cambio della propaganda sulla sicurezza e del vuoto rito delle elezioni. Bel guadagno!




Articolo correlato: Santaruina, Senza stato, 2008

16 marzo, 2008

The game

Capire? No. Non capisco. Si può elucubrare, ma non comprendere veramente. "E' solo un gioco", afferma qualcuno. Può darsi. E' comunque un gioco crudele e gratuito, una specie di lotteria in cui chi perde, perde tutto, irreparabilmente. E' un gioco di cui non conosciamo le regole ed al quale non abbiamo chiesto di partecipare.

Il turno di una mano fortunata: il caso o il destino deciderà.

Si può soltanto aspettare che la partita finisca e sperare che il baro stia bluffando.

15 marzo, 2008

Conferenza del dottor Giorgio Pattera sui Celti

Incontro (articolo di Acquaemotion)

Cerco solo di aiutarti, cerco solamente di venirti incontro. Voglio solo aprire gli occhi insieme a te. Le mie emozioni, le mie paure e le mie angosce, sembrano realizzarsi e prendere forma nella realtà fisica di questo sogno, di questo incubo chiamato Mondo!

Non voglio vedere piangere nemmeno più un bambino per la fame in quel Mondo, mentre orde di ragazzi “industrializzati” di questo Mondo muoiono e si ammalano per il troppo.

Non voglio nemmeno più sentire pronunciare la parola G….A

Non voglio più vedere né sentire le urla di una moglie, di una madre, di un figlio o di un padre disperato per la mancanza del proprio caro portato via dalla truce, violenta, sanguinosa realtà costruita dal Male.

Non voglio che nessuna persona, nessun animale, nessun insetto, nessuna pianta e nessuna Terra sia più depredata del suo splendido e luminoso valore,
ed essere ricoperto dal grigio sentimento di angoscia che oscura tutto.

Voglio solo te.
Voglio solo poterti vedere sorridere ed essere felice, perché la vita tua e di tutti sia un bellissimo sogno che tale non è, perché è semplicemente la pura essenza del nostro essere.
Nulla più, nulla meno.

Se vuoi il mio aiuto, vienimi incontro: io ti sto già aspettando.

14 marzo, 2008

La matematica è una religione

La matematica è una religione, ossia la “logica” dei pirloti è giurassica

In alcune occasioni mi sono chiesto se i numeri siano inerenti alla realtà o se siano delle forme che la mente pone nella "realtà" per conferirle un ordine. Purtroppo gli scientisti ed i ripetitori acritici dei dogmi banditi dai Cicappini non hanno la più pallida idea che esistono significativi orientamenti all'interno del pensiero matematico inclini a negare la sostanzialità dei rapporti numerici.

Se, infatti, secondo i matematici platonici, l'universo ha una struttura geometrica e numerica, i concettualisti ritengono che siano gli uomini a costringere la realtà entro modelli matematici. I formalisti considerano i teoremi delle tautologie e le relazioni matematiche coerenti in sé, ma non riferite alla natura. Per i formalisti la matematica è un gioco come quello degli scacchi. Gli intuizionisti, infine, che evitano di ricorrere ad entità non intuitive, opinano che una formula matematica descriva solo l'insieme di calcoli compiuti per ottenerla. Gli intuizionisti aggiungono alle due categorie del vero e del falso, una terza possibilità: l'indecidibile.

Da questa rapida rassegna dei principali indirizzi nelle scienze matematiche si arguisce come i platonici che, di solito, sono realisti, ossia sono persuasi che le leggi fisiche (traducibili in equazioni) sono connaturate al mondo, si trovino in uno splendido isolamento.

Benché possa sembrare paradossale, sono gli intuizionisti, con i loro concetti astrusi, ad avvicinarsi maggiormente all’essenza contraddittoria del reale. Infatti la categoria dell'indecidibile richiama il principio di Heisenberg e, più in generale, la logica quantistica in cui, postulando una terza eventualità, si supera la dialettica bipolare (vero/falso) della logica aristotelica. La logica e la scienza dunque tendono a scivolare verso l'indeterminazione, quasi verso un’ermeneutica, considerata un tempo tipica solo delle discipline umanistiche?

Pare di sì, almeno sotto certi rispetti, se Godel addirittura stabilì "che non è possibile dimostrare la coerenza di nessun sistema assiomatico abbastanza vasto da includere l'aritmetica. Il teorema di Godel dimostra che la matematica è una religione ed è l'unica che può provare di esserlo, perché contiene un sistema di idee basate su proposizioni che non possono essere provate né per via logica né per mezzo di osservazioni." (R. Barrow)

Di fronte a tali acquisizioni del pensiero logico-matematico, lontano mille leghe dagli ingenui convincimenti ammanniti nei libercoli scolastici tanto affannosamente compulsati da pseudo-scienziati, come si può giudicare un'asserzione come la seguente? "Se una persona crede, non c'è ragionamento, prova, logica, fatto al mondo che possa dissuaderlo dalla sua fede e troverà sempre una scusa per giustificare tutto, ma anche il contrario di tutto, restando nella sua convinzione, proprio perché di fede acritica si tratta e non di ragionamento logico".

Ora, questa affermazione che sembra piena di buon senso, è, invece, caduca, riduttiva ed opinabile, poiché contrappone in modo semplicistico e volgare (in senso letterale) la logica alla fede, prescindendo quindi dalle concezioni dei matematici e dei logici più avanzati (o dei logici tout court?). Si tratta in verità, di un debolissimo argomento che ignora, tra le altre cose, la natura controversa degli assiomi aritmetici: ad esempio, che uno uguale è ad uno, come dimostrammo, è un postulato indimostrabile, sebbene evidente di per sé, per giunta smentito dalla fisica quantistica.

Chi "ragiona" secondo antiquati criteri meramente peripatetici rivela di non aver compreso nulla dell’incredibile complessità del reale (Vedi Il rasoio ha perso il filo) e dei modelli culturali (compreso quello scientifico) che consentono di conoscerne alcuni aspetti e di interpretarli.

Anche la logica quindi contiene degli elementi fideistici, come la fede ha una sua interna ragione. In fondo "il cuore ha delle ragioni che la ragione non ha".

12 marzo, 2008

Il giardino di Villa Meridiana (articolo di T.B.)

Ricordo che anni addietro, leggendo una biografia del noto pittore olandese Piet Mondrian, rimasi sconcertato e deluso, quando appresi che l'artista aveva deciso di collocare le poltrone della casa in cui abitava in modo che, chi vi si sedeva desse le spalle alle finestre oltre le quali svettavano degli alberi circondati da una siepe. La decisione di Mondrian si comprende, se si ricorda il carattere antinaturalistico della sua poetica e la tendenza verso l’astrazione peculiare di molte avanguardie: in parecchi casi pittori e scultori sentivano l'esigenza di svincolarsi dal pregiudizio iconico che aduggiava l'arte, sfociando talora in eccessi ed in utopie formaliste e razionaliste.

Lo stesso Mondrian che, per tanti anni, simile ad un asceta del pennello, stese campiture uniformi di colori primari e di bianchi austeri, con riquadri separati da severe linee di colore nero, nella stagione statunitense, l'ultima, lasciò vibrare i colori e l'irrequieto movimento della metropoli in una tela come Broadway boogie-woogie. Mondrian, inoltratosi nelle dimensioni mentali dell'astrazione, ai confini del nulla e del silenzio, alla fine, riscoperse la realtà, seducente, contraddittoria, in perenne movimento... La realtà, espulsa dal rettangolo della finestra, rientrò dal rettangolo dalla tela.

La finestra appunto. E' la finestra l'ultimo contatto con la natura, foss'anche solo una sua immagine fuggevole, un angolo di cielo, un arco di orizzonte. Una vita solo tecnologica è più orribile di un incubo. Come concepire una camera senza un’apertura, un lucernario? Oltre danzano le fronde degli alberi scosse dal vento o stillanti di pioggia, popolate di passeri vispi e tramate di raggi. Il verde del fogliame, il celeste dell'aria, l'oro della luce creano un mosaico scintillante, cosparso di ombre irrequiete. Di notte la luna lascia gocciolare, dal suo calice argenteo, liquide perle dai rami.

Non è un caso se Paradiso deriva da un termine greco che significa "giardino", a sua volta dal persiano, "parco": il giardino è un eden di profumi, tinte, suoni e sensazioni ineffabili per chi non ha del tutto dimenticato la primigenia dimora. Che per cupidigia ed aridità, gli alberi siano svelti, tagliati e potati in modo feroce, è la prova che l'umanità è degna dell'inferno di asfalto e cemento in cui "vive".


Anni fa ho assistito, giorno dopo giorno, con il pianto nel cuore e lo sgomento negli occhi, alla selvaggia, inconcepibile, sistematica distruzione della parte dell'orto botanico che ancora esisteva intorno a Villa Meridiana, residenza della Famiglia Calvino, in Via Meridiana appunto.

Verso la fine degli anni sessanta abitavo in un appartamento con balcone al primo piano, affacciato proprio su questo magnifico, lussureggiante giardino, un luogo di meraviglie e sorprese quotidiane dove le scoperte non finivano mai e la bellezza non cessava di stupire.

Mentre le fioriture facevano a gara per sopraffarsi in colore e profumo, incantava e stordiva la bellezza di alberi rari e cespugli nascosti e tutto questo era amorevolmente curato da un modesto, gentile personaggio: un giardiniere che si aggirava come un elfo tra fiori, fronde e cespugli, creatura silenziosa che, con la sua discreta ma insistente presenza, custodiva e provvedeva a che il giardino continuasse a vivere ed a regalare incanto.

Quando gli eredi decisero di mettere in vendita la proprietà, desiderando fosse destinata a diventare patrimonio della città e della sua comunità, ne proposero l'acquisto al Comune, intavolando una trattativa che consentisse di giungere ad un accordo soddisfacente per entrambe le parti.

L'ottusità dell'amministrazione dell'epoca, la nessuna sensibilità verso l'opera di salvaguardia di un insieme unico e raro per varietà e ricchezza delle specie arboree e floreali, gli interessi rozzi e meschini che allora come adesso, come sempre, informavano le azioni e dettavano le decisioni dei politicanti locali, protrassero le trattative molto oltre un tempo ragionevole e dignitoso per i proprietari che decisero, con grande rammarico, di abbandonare la contrattazione e di ritirare l'offerta di prelazione.

Furono aperte le porte ed i barbari calarono senza colpo ferire, aprendo varchi sempre più ampi nella vegetazione, dapprima sfoltendo, poi distruggendo siepi e strappando spalliere di rampicanti, occupando con mattoni, travi, cemento ed impalcature quello che era lo spazio di alberi e fioriere.

Ho visto come hanno ampliato la villa e costruito le autorimesse, come hanno devastato senza scrupoli in nome e per conto del profitto che distrugge bellezza e produce sconcezza, materiale e morale.

Ho visto dalle mie finestre, alle quali non avevo mai voluto mettere tende per poter assaporare in ogni ora ed in ogni giorno, con qualunque tempo ed in ogni stagione la gioia di affondare lo sguardo in quella visione, come Sanremo abbia perduto per ignavia, ignoranza, insensibilità e qualche busta infarcita di cartamoneta e disonestà, uno dei tesori più rari, insostituibili e preziosi che ancora, nascosto tra le case come una viola mammola in una radura, cresceva e sbocciava in tutto il suo splendore in un angolo di questa città diseredata e avvilita.

Perduto per sempre e, ciò che più rattrista, ricordato e rimpianto da pochi.

11 marzo, 2008

10 marzo, 2008

Anie

Nel libro di Stefano Breccia, Contattismi di massa, sono descritti marchingegni denominati anie, usati da presunti alieni, gli Akrij, approdati in Europa nel 1956 e, in seguito ad una sconfitta subìta per opera di extraterrestri a loro ostili, i Weiros, costretti a smobilitare ed ad abbandonare, nel 1978, le loro basi, di cui la più importante costruita nel Mar Adriatico.

Col termine ania, si indicano due tipi di oggetti: il primo è definito black crystal da George Hunt Williamson, archeologo spaziale statunitense, autore di Flying saucers have landed e di The saucers speak. Il black crystal era un piccolo marchingegno nero, a forma di poliedro irregolare.

L'ania veniva impiantata nel corpo di esseri umani, sia consenzienti sia inconsapevoli. Nell'arco di poco tempo, il congegno si moltiplicava in una serie di microautomi che si collocavano in veri organi della persona. Questi nanorobot potevano sviluppare le abilità cognitive e le capacità telepatiche, ma anche controllare del tutto l'uomo in cui si erano insediati.

L'ania era pure un piccolo automa bioelettronico, lungo circa un centimetro e mezzo, e del diametro di un centimetro. Questi piccoli robot erano usati per monitorare le condizioni ambientali e diventano pericolosi quando agiscono in gruppo: possono, infatti, danneggiare i circuiti elettrici, causando dei cortocircuiti; possono intasare il tubo di Pitot (strumento per misurare la velocità di un fluido) di un velivolo, l'erogatore di ossigeno impiegato da un sommozzatore o segare la tiranteria di un'automobile in moto. Possono anche fungere da radiofaro per concentrare energie irradiate altrove. Quando le anie erano in funzione, si illuminavano per qualche secondo e producevano un frinire, simile a quello delle cicale.

“Ora, occorre precisare che queste ultime informazioni sono desunte da un testo molto controverso, soprattutto per l'imprimatur che esso porta, per il milieu in cui gravitano certi personaggi che ne hanno propiziato la pubblicazione. Si potrebbe trattare quindi di disinformazione o di diffusione di un paio di verità intrecciate in modo inestricabile a molte menzogne ed esagerazioni. Non di meno, se la trama del saggio è davvero riferibile, come afferma l'autore, alle esperienze di Bruno Sammaciccia risalenti agli anni '60 e '70 del XX secolo, quindi, se non si tratta di una costruzione a posteriori, ci troviamo di fronte a cenni ad una tecnologia extraterrestre di cui viene specificata pure la funzione, a conferma delle dichiarazioni, pur da prendere sempre col beneficio del dubbio, provenienti da contattisti della prima generazione”.

Tra questi contattisti, però, Williamson pare essere degno di fede: amico del più celebre George Adamski, “Williamson scomparve durante una spedizione antropologica in Perù, nel 1965. Restano famose le sue esplorazioni di antichi siti di nativi americani nelle Ande, che egli sospettava ospitassero dischi volanti, campi di atterraggio e basi sotterranee. In seguito, compì esperimenti mediante contatti radio ad onde corte, dichiarando nel 1952 di aver stabilito comunicazioni con gli occupanti degli U.F.O. Durante tali trasmissioni, diversi dischi volanti furono visti librarsi sulla sua cabina ricetrasmittente”. (O. O. Binder, I crociati degli U.F.O., 1971, 2006)

La descrizione delle anie sembra tratta da un dozzinale libro di fantascienza, ma, col senno di poi, possiamo asserire che anticipa certi sviluppi tecnologici di questi ultimi anni: gli impianti e le nanomacchine. I microprocessori sottocutanei (alcuni sono cerebrali) sono oggetti studiati dagli ufologi ed associati ai rapimenti perpetrati dai militari (Boylan) o dagli alieni (Hopkins e molti altri) o da entrambi (Malanga). E' plausibile che la tecnologia del microchip, una delle maggiori minacce per la libertà, la salute e la dignità dei cittadini, sia stata carpita dai vertici dell'industria bellica agli extraterrestri o ceduta da qualche nazione esterna, in cambio del permesso di prelevare animali e soggetti umani su cui compiere esperimenti di varia natura.

Le nanomacchine sono diventate una realtà: microscopici congegni consentono di rilasciare la giusta dose di farmaci nell'organismo, di verificare le condizioni mediche di un paziente, di controllare i movimenti delle truppe nemiche, di monitorare la situazione di un ecosistema... Le applicazioni ufficiali sono molteplici, ma non bisogna dimenticare gli scopi occulti della nanotecnologia, legata anche all'operazione "scie chimiche", obiettivi riconducibili al perverso obiettivo di asservire le persone, trasformandole in altrettanti apparati ricetrasmittenti, in uomini artificiali facili da spiare e da telecomandare.

E' appurato che questi nanostrumenti sono potenzialmente deleteri per gli apparati elettronici e che sono legati ad una nuova, terribile malattia, il Morgellons.

Fonti:

O. O. Binder, I crociati degli U.F.O., 1971, 2006
S. Breccia, Contattismi di massa, Padova, 2007
G. Cosco,
Segreti pericolosi
Zret, Sonde aliene?, 2007

09 marzo, 2008

Calma apparente

Perché tutte le immagini portano scritto più in là (E. Montale)

Una calma strana e sinistra pervade tutto, come una bonaccia appena increspata dallo sciacquio delle onde sulla prua o dal grido di un albatro. E' come una marea di silenzio che ora sprofonda in vette di dolore ora sale sino ad abissi di felicità.

Naufragano nubi in un cielo di latte, mentre l'attesa diventa agonia. Si attende forse una rivelazione o che all'orizzonte, fra la bruma, emerga il profilo di un'isola perduta. Si spera in un segno, in uno squarcio nel velo: oltre si slarga una terra senza lidi lambita da armonie traudite, a volte, in questa esistenza, in rari istanti di abissale solitudine.

E' una quiete attraversata da fremiti di inquietudini, come se, nel deserto, accostassimo l'orecchio al terreno per ascoltare l'eco di lontanissime mandre di cavalli o la voce misteriosa delle falde sotterranee.

Si sfaldano le parole in sillabe, poi in ombre indistinte, come petali appassiti sfarinati sul selciato.

E' un immobile scorrere di attimi, di ore, di giorni, tra albe scialbe e notti scheggiate, sempre con il segreto desiderio che qualcuno passi in questa waste land.

Qualcosa accadrà: cadrà il sipario dell'illusione.

07 marzo, 2008

Cosmogonie

Uno dei temi cui ho dedicato molti articoli è quello del cosmo, della sua possibile origine: già Bojs nel testo Il Big bang, l'espansione ed il Creatore, si è soffermato su tale argomento che vorrei riprendere per evidenziare alcune linee del problema. In primo luogo, ci si chiederà quale sia il nesso tra la vita sulla Terra con tutte le sue contraddizioni e sofferenze e la speculazione sulla genesi e sulla natura dell'universo. Sembrano due dimensioni lontanissime, agli antipodi, eppure esse sono non tanto correlate, quando intrecciate e sovrapposte, perché la condizione umana è il risultato di un abissale principio, se di principio si può parlare.

Ciò chiarito, cominciamo il viaggio a ritroso nel tempo nel tentativo di immaginare un possibile stato iniziale. Ammettiamo, per ipotesi che l'universo sia stato generato dal nulla: falsa o plausibile che sia la teoria del big bang, ossia dell'esplosione iniziale, si deve pensare che la generazione ex nihilo si debba ad una Mente cosmica. E' una congettura che, in genere, gli scienziati rigettano perché riluttanti ad introdurre in un modello cosmologico Dio o comunque lo si voglia chiamare. Così essi semmai postulano che, prima di questo universo, ne esisteva un altro collassato, dopo essersi eccessivamente espanso, e poi un altro e così ad infinitum.

Altri cosmologi cercano di comprendere come il Tutto potè sprigionarsi dall'attimo iniziale e quali "leggi" di natura governarono quel punto, ma rinunciano a porsi l'interrogativo di chi o che cosa diede il via allo spettacolo.

Secondo Wheeler l'universo si congela nel momento in cui l'osservatore lo percepisce: è l'esse est percipi (essere significa essere percepito) di un Berkeley riveduto. La teoria di Wheeler anticipa per alcuni versi il modello dell'universo olografico di Bohm e di altri, con cui ha molti punti di tangenza la concezione tetraedrica di Malanga-Pederzoli.

Se consideriamo il cosmo generato da Dio, possiamo altresì congetturare una differenza ontologica tra la materia-energia ed il Principio divino. Dio, essere non materiale, in un modo misterioso ed inconcepibile, trae dal nulla la materia-energia e dà inizio al tempo. Qui, però, quasi come Cartesio, dobbiamo pensare che esista un demone ingannatore il quale proietta una realtà, intesa come mera apparenza. Costui in realtà è il Demiurgo che, con scaltrezza mefistofelica, costruisce elaborate e mirabili geometrie affinché si attribuisca il tutto a Dio, un Dio scienziato. Se, invece, il cosmo fosse una proiezione "cinematografica" che nasconde altre dimensioni in cui valgono leggi differenti da quelle note, dove il tempo non esiste o possiede una natura differente?

Dio potrebbe dunque non essere tanto uno scienziato, quanto un artista che ha creato l'universo spinto da un impulso incoercibile, come suggerivo in Credere? Questo, in una certa misura, potrebbe spiegare l'origine del Male, legato ad una creazione imperfetta, per quanto magnifica (come il Mosè michelangiolesco).

E' pure possibile che Dio, dopo aver forgiato il reale, si sia in qualche modo pentito, conoscendo ab aeterno l'indescrivibile mole di mali sotto cui è schiacciato, ma non ha voluto o forse non ha potuto più tornare sui suoi passi, come lo scultore che, con lo scalpello, stacca un frammento di marmo ed al quale una scheggia o un movimento inconsulto incrina la statua. Per sempre.

Qui ci troviamo di fronte ad un dilemma: “Dio non gioca a dadi con l’universo”, come sosteneva Einstein o “Non solo gioca a dadi con l’universo, ma spesso li lancia dove non riesci più a vederli”, come congettura Hawking? E’ l’antinomia tra armonia e caso, tra concordanza e caos. È una dicotomia che non è facile comporre. Giustamente molti sostengono che considerare la meravigliosa complessità di un organismo vivente come frutto del caso è come credere che dall’esplosione di un macigno, fatto brillare con una mina, si ottenga una scultura di Fidia. Il problema non è questo: non si può negare che il cosmo nelle sue manifestazioni, dall’infinitamente grande all’infinitamente piccolo, adombra uno stupefacente equilibrio, un disegno, un mirabile progetto. Il problema è un altro: come si è insinuato il Male, lato sensu, dall’entropia al dolore nell’universo? La mia impressione è che qualcosa sia sfuggito al controllo della Mente cosmica, che si sia palesato un errore nel programma. Nulla è perfetto, nemmeno la perfezione. Forse ciò non è poi così deprecabile.

Se adottiamo il modello del cosmo olografico, la questione del substrato energetico, in un certo senso si risolve, poiché la coscienza proietta delle immagini realistiche, le cui differenti, numerosissime sembianze, sono soltanto fotogrammi privi di reale consistenza. Tale teoria, secondo la quale il mondo è velo di Maya, svuota la materia-energia di ogni concretezza, riducendola ad ombra. Nulla esiste, se non la Mente, ma non si comprende che cosa abbia spinto l’Essere a proiettare questa pellicola in cui la scenografia, la trama, gli attori… sono parvenze inconsistenti. Il sogno dell’Essere si è tramutato in un incubo?

Alla fine pare che, nonostante complesse formulazioni cosmologiche tradotte spesso in modelli matematici, la concezioni siano quelle degli antichi: è cambiata la terminologia, ma non siamo proceduti molto oltre l’onnicomprensivo e, per questo, non comprendente nulla, “l’essere è, il non essere non è”. Ovviamente il non essere, in qualche modo misterioso ed inintelligibile, è.

05 marzo, 2008

Vocativo

Il vocativo è il caso latino del solo complemento di vocazione: si insegna nei licei.

In realtà, più che un caso è una sorta di sintagma ellittico del verbo. Mi pare che, ancora una volta, la lingua lasci trasparire un senso profondo che confligge con tutte le teorie sulla convenzionalità ed arbitrarietà dei sistemi linguistici. E' comprensibile allora che il vocativo sia destinato ad esprimere soltanto la chiamata, l'esortazione, l'invocazione, un'implorazione silenziosa ora disperata ora fidente. Dare una voce a qualcuno, sperando che oda e risponda; invocare chi non ascolta o non pare ascoltare, troppo impegnato ad elaborare i suoi frattali bellissimi, indecifrabili, simili a mandala.

Forse, però, non sappiamo che la vera risposta è il silenzio: nel silenzio soffia la risposta. In latino originariamente non esisteva neppure il vocativo di Deus, più tardi introdotto a mo' di riflesso del nominativo. I Romani, molto pragmatici (troppo) e disincantati, avevano compreso che è vano rivolgersi a chi deve sottostare al fato. Ciò ch'ha esser convien sia... Dio ha lanciato i dadi talmente lontano che li ha persi. Siamo qui forse per aiutarlo a cercarli.

04 marzo, 2008

Dalla neo-lingua alla non-lingua

In questi ultimi tempi sono invalse alcune parole ed espressioni che denotano l'imbarbarimento della lingua e, nel contempo, come causa-conseguenza, una distruzione della cultura, intesa soprattutto come anelito alla ricerca libera. E' una distruzione forse addirittura più grave di quella perpetrata nel romanzo 1984 con la neo-lingua. Emblematico di questo scadimento è la diffusione di termini come "bufala", nel senso di "fandonia", di notizia destituita di fondamento, o di "tarocco", col significato di "falso", contraffatto", di "farlocco", "fuffa" etc.

Non mi interessa comprendere quali siano stati i passaggi semantici che hanno portato i suddetti vocaboli ad assumere tali sfumature semantiche. Mi pare, invece, che debbano suscitare infinita ripugnanza i parti mostruosi generati da questi monstra linguistici: così ora qualcuno scrive "prova sbufalata", o merce "taroccata" o "taroccamento" dei fatti etc. Chi usa ed abusa di questi abominevoli neologismi non solo dimostra di seguire la corrente torbida di questa pseudolingua, ma di avere una mente del tutto atrofizzata, con un paio di sinapsi al massimo da cui proviene un numero limitatissimo di concetti.

Se è vero, come è vero, che ad una gamma ristretta di vocaboli corrisponde una sfera esigua di idee, come potremo valutare le capacità cognitive di coloro i cui testi ruotano attorno ad una manciata di sintagmi dozzinali, inespressivi e massificati? Tralascio qui le riflessioni sul progetto perseguito con successo dai vari ministri della pubblica ignoranza che, con le loro scellerate riforme ed iniziative, sono riusciti ad affossare la scuola e, col concorso fondamentale dei media (riviste della scienza spazzatura incluse), hanno trasformato l'idioma di Dante in un borborigmo. Affossare la lingua significa obnubilare le menti, renderle spugne mollicce atte a ricevere contenuti insulsi, messaggi distorti, slogans pubblicitari, i vuoti proclami della propaganda imperiale.

La folle devastazione degli ambienti naturali con il connesso sterminio di popoli portatori di culture antichissime e venerande, radicate in lingue il cui cuore pulsava di una vita antica, primigenia, (penso, ad esempio, ai nativi americani) è lo strumento per appiattire la natura umana, per piallarla, renderla uniforme e grigia.


Che la lingua si sia impoverita sotto il profilo quantitativo è innegabile, ma ancora più allarmante di tale depauperamento è la sua riduzione a struttura bidimensionale, scevra di rapporti etimologici, svelta dalle sue radici storiche, mitiche, ancestrali. Le parole perdono tridimensionalità, echi, prospettive e lo stesso ragionamento si rattrappisce, si anchilosa.

Basta confrontare la dialettica dei filosofi greci e dello stesso pur non di rado superficiale Cicerone con i balbettii di Eco, Cardini, Cacciari, Scalfari etc. per rendersi conto della distanza abissale: nel migliore dei casi il pensiero profondo è ormai soppiantato da un "pensiero" complicato, cerebrale, involuto.

Qui taccio dei sedicenti "cacciatori di bufale", solo rammentando che nella lingua è comunque sottesa una profonda giustizia. Essa si vendica, perché nomen est omen, "il nome è presagio": così costoro potrebbero, invece, di scombiccherare fogli su fogli, dedicarsi all'allevamento di bufale o anche di porci, sempre che questi animali, assai più intelligenti dei pennivendoli, superando un comprensibilissimo ribrezzo, inevitabile in chi sfiora questi ciandala, non decidano di allontanarli con qualche calcio ben assestato.

03 marzo, 2008

Madonne olografiche

Nostra Signora di Lourdes (o Nostra Signora del Rosario o, più semplicemente, Madonna di Lourdes) è l'epiteto con cui la Chiesa cattolica venera Maria, in seguito ad una delle più note apparizioni mariane.

Il nome della località si riferisce al comune francese di Lourdes, nel cui territorio - tra l'11 febbraio ed il 16 luglio 1858 - la giovane Bernadette Soubirous, contadina quattordicenne del luogo, assistette a diciotto apparizioni di una "bella Signora" in una grotta poco distante dal piccolo sobborgo di Massabielle. A proposito della prima epifania, la giovane affermò: « Io scorsi una signora vestita di bianco. Indossava un abito bianco, un velo bianco, una cintura blu ed una rosa gialla sui piedi »

Questa immagine della Vergine, abbigliata di bianco e con una cintura blu che le cinge la vita, è poi entrata nell'iconografia devozionale.

Nel luogo indicato da Bernadette come teatro delle apparizioni, fu collocata nel 1864 una statua della Madonna. Presso l'antro delle apparizioni fu poi costruito un maestoso santuario.

Il centro pirenaico è meta di un incessante e cospicuo flusso di pellegrini da tutto il mondo. Gli infermi fanno abluzioni nell'acqua sgorgata colà il 25 febbraio del 1858; i pellegrini riempiono bottiglie ed ampolle con l'acqua di Lourdes. Si calcola che oltre settecento milioni persone abbiano visitato la località.

Secondo il racconto della quattordicenne Bernadette Soubirous, la prima apparizione avvenne il giorno 11 febbraio del 1858. La Signora recitò il Rosario; Bernadette si unì a lei. Al termine della preghiera, la Signora svanì. In occasione della sedicesima epifania, la Signora, che fino ad ora non aveva voluto rivelare il proprio nome, rispose alla domanda con parole pronunciate in un dialetto occitanico, l'unico idioma che Bernadette comprendeva: " Que soy era Immaculada Councepciou " " Io sono l'Immacolata Concezione ".

Il 16 luglio Bernadette ricevette l'ultima visita.

Le guarigioni ufficialmente accreditate dalla Chiesa come miracolose, sono in tutto 66 e coprono un arco di tempo che va dal giorno 1 marzo 1858 al 9 ottobre 1987.

Sugli eventi di Lourdes sono stati scritti centinaia di libri e condotte molteplici inchieste: da un lato pullulano le pubblicazioni dei cattolici che vedono nelle apparizioni la conferma di dogmi cattolici; dall'altro studiosi per lo più atei e razionalisti hanno ricondotto gli avvenimenti a fenomeni spiegabili secondo criteri scientifici.

Circa tali epifanie, la mia opinione combacia con quella del Professor Corrado Malanga che, in alcuni suoi documentati ed acuti articoli (vedi Ufomachine.org e Bojs, Alieni bugiardi, 2007), ha dimostrato come, dietro tali "prodigi" si nasconda l'azione scaltra di entità extraterrestri o interdimensionali che, in cambio di qualche guarigione, ottenuta con mezzi terapeutici e tecnologici ignoti all'umanità, ma non ad esseri più progrediti, sul piano scientifico, riescono a perpetuare l'inganno di una religione dogmatica ed oscurantista. Inoltre, come osservato dall'ex gesuita Salvador Freixedo, creature non visibili si nutrono delle energie che si sprigionano in luoghi (stadi, spianate di santuari, piazze...) in cui si affollano masse sovraeccitate per emozioni quali la paura, la meraviglia, la tensione spasmodica etc. L'analisi eseguita da Malanga e da altri sui "fenomeni solari" e sulle Madonne ologrammi è, a mio modesto parere, corroborata dalla considerazione delle cifre che, come una firma occulta (sinarchica ed "aliena"), segnano le più famose manifestazioni mariane: il numero 11, il 17, il 24 (quest'ultimo numero accomuna la data della nascita ufficiale dell'Ufologia, il 24 giugno 1947 alla prima epifania di Medjugorie, risalente al 24 giugno del 1989). Sarà una coincidenza se la prima apparizione di Lourdes rimonta al giorno 11 febbraio e se le remissioni soprannaturali ufficialmente riconosciute sono 66, sinistro multiplo di 11?

Intanto in che giorno si celebra la Madonna miracolosa di Taggia, una cui effigie (così si racconta) mosse gli occhi?

Sarà il caso di documentarsi...

02 marzo, 2008

Rondoni alpini

Raggi di sole, simili a strali d’oro, trafiggono le nuvole. È un gelido giorno di febbraio: alcuni rondoni si sono allontanati dalle Alpi per sciamare verso la costa un po' meno fredda, in cerca di insetti di cui nutrirsi.

Con voli guizzanti, agili, tutti virate e cabrate improvvise, tagliano il cielo invernale. I rondoni ora schizzano in alto fra le nubi, ora si slanciano tra gli eucalipti: spogli, dai rami mutili come moncherini, questi alberi paiono croci sul Golgota.

E' sbalorditivo come, mentre sempre più rapidamente si estinguono specie animali e vegetali, alcuni esseri viventi continuino a popolare un pianeta, ormai invaso e deturpato quasi del tutto da tralicci, antenne, centri commerciali e superstrade. E' l'ostinazione della vita, che, con pervicacia, si ribella di sottostare all'imperante legge della distruzione e della morte, o è uno degli ultimi rantoli di una lenta, straziante agonia?

Torneranno i rondoni alpini l'anno venturo, a disegnare l’aria di linee invisibili, ad esibirsi nelle loro spericolate acrobazie?

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