01 gennaio, 2009

T

Suono tagliente e teso quello della lettera T. Sa essere scintillante ed affilato, come un grido che fende la gola del silenzio.

Questo suono, che incide la pagina del silenzio e del vuoto, è iterato forse non a caso nel nome del dio Thoth, cui gli antichi Egizi attribuirono l'invenzione della scrittura.

La T è, nel sistema fenicio, il marchio, in quello ebraico il giogo ed il sigillo, il compimento, essendo l'ultima lettera dell'alfabeto, la ventesima e seconda. Il bove aggiogato al carro e marchiato è immagine di sottomissione, di pazienza e rinuncia.

Naturalmente è anche una croce e, in quanto tale, il collegamento tra la verticalità e l'orizzontalità, tra il Cielo e la Terra, ma la croce è pure sacrificio, supplizio, morte, da Osiride in poi... Il sacrificio è l'esistenza, non il martirio in nome di un ideale, ma l'essere inchiavardati al mondo. Non è redenzione dell'intera umanità, non è immediata salvezza, ma in-crocio, trivio, un luogo consacrato alla triplice dea, Artemide. Per questo motivo il tau è palo, patibolo, poiché non è coronato dall'asola dell'ankh, la croce della vita in cui il sole-ansa-matrice-delta del Nilo vivifica, con la sua forma avvolgente e curvilinea, la rigidità degli assi, come la fresca rugiada inumidisce l'arido suolo.

La T ricorda anche, stilizzata, la figura dell'Impiccato, la dodicesima lama degli Arcani maggiori, con l'appeso (morte, condanna) che osserva il mondo da sotto in su. E' una prospettiva inconsueta da cui le vette diventano verdi abissi ed il mare un cielo di onde e di spuma.

L'Impiccato immobile offre sé stesso al ludibrio del destino.

Simbolo ed espressione del punto cruciale del cammino mistico, l'Appeso è la forma con cui il viandante del sentiero celebra il sacrificio del proprio io, preparandosi ad affrontare la Morte e la Resurrezione, in spirito di completo abbandono.

Comunemente è una carta abbinata all'esperienza del dolore e della resa, giacché il sacrificio avviene per consapevolezza della sofferenza terrena, con il capovolgimento delle proprie aspirazioni che, dall'orizzonte egoistico ed umano, si convertono nell'anelito alla liberazione. Per acconsentire alla liberazione, occorre che si compenetri il patimento e che lo si trascenda con sentimento mistico di abnegazione.

Il Tau è quindi lacerante vissuto che prelude al ritorno. Speriamo non manchi molto.



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8 commenti:

  1. Ciao Godelpas, il tuo commento non mi è arrivato.

    Auguro anche a te un buon anno. Molto acuto il tuo raffronto tra il discorso del napo orso capo e quello di B16.

    Ciao e grazie!

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  2. Forse il confronto era quello di un lettore del tuo blog: resta un importante contributo.

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  3. il ritorno di chi? di colui che non si e' raggiunto e dunque non e' ancora .... come puo' tornare se non e' ancora stato?

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  4. Attende qualcuno o qualcosa chi si trova ancora nel vortice del divenire o, in altri termini, nel flusso samsarico. Si parla allora di escatologia futura. Colui che ha raggiunto la vetta, se si considera la Via come un processo ascensionale, ovverosia il Centro della ruota cosmica, nel caso si consideri invece l'autorealizzazione come un movimento centripeto, quegli non ha più nulla da attendere poichè ha compreso che il disvelamento può avvenire qui ed ora.

    Evidentemente la seconda delle possibilità non rappresenta il caso nostro, per il qual motivo ci troviamo ancora ad aspettare un che di esterno che erroneamente presumiamo altro da noi, non sapendo che nell'essere umano esistono tutti i balsami e tutte le medicine adatte a curare le malattie dell'anima.

    Potremmo anche instaurare a titolo esplicativo una contrapposizione fra l'escatoloia futura dei Vangeli sinottici e quella cosiddetta realizzata del Quarto Vangelo. Mi pare sia stato Rudolf Bultmann il primo a far notare la distinzione teologica e metafisica fra le due prospettive.

    Da un lato dunque l'escatologia idonea alle masse che sperano ancora nel futuro che non sanno essere già qui ed ora e l'escatologia del'asceta avanzato. Ovviamente tutti sappiamo che il Quarto Vangelo era in origine un vangelo eminentemente gnostico, di probabili origini alessandrine e scaturito forse da una propaggine della setta dei Terapeuti.

    Una volta il testo caduto in balìa della Grande Chiesa esso subì adattamenti e rifacimenti e, nell'ambito di tale processo, fior di interpolazioni. I redattori curiali, non comprendendo l'escatologia realizzata in esso contenuta, per far quadrare i conti, misero in bocca a Gesù a più riprese sia nel capitolo sesto che in ulteriori capitoli la famosa frase a mò di chiosa: 'ed io lo risusciterò nell'ultimo giorno'. Frase che ci sta nel contesto come i cavoli a merenda in quanto contraddice palesemente il tono generale dei discorsi.

    Ma, come dicevo poc'anzi, tale prospettiva di vertice non fa per noi e pertanto continueremo per ora o forse per sempre a comportarci come i clienti del leopardiano venditore di almanacchi.

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  5. Non a caso, anche il Vangelo cosiddetto di Tommaso afferma: "Il Regno dei cieli è qua e nessuno se ne accorge" o qualcosa del genere.

    L'illusione del futuro, mirabilmente descritta da Leopardi, continua ad ingannare il passeggere.

    Ciao e grazie.

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  6. Ciao Zret. Non sto a spiegarti per quali motivi personali, ma da anni (da "Oracoli" di Vargas) mi identifico con l'appeso, anche essendo all'oscuro di tutti i suoi significati reconditi. Ora mi hai dato delgi spunti ulteriori di riflessione e volevo ringraziarti per questo. E come sai amo il dolcissimo gobbo.

    Un giorno mi piacerebbe incontrarti per caso Zret.. Ciao

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  7. In ebraico ed aramaico Ruach, per quanto mi consta, è femminile. Tale valore è evidente nel Vangelo degli Egizi, degli Ebioniti etc. Ciò ha notevoli implicazioni esegetiche, ma cedo il testimone a Paolo ed a Timor che ne sanno certamente più di me.

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