08 settembre, 2010

Respira il lago un palpito sopito (lirica di Clemente Rebora)

“Respira il lago un palpito sopito” è una lirica di Clemente Rebora (1885-1957). Nel componimento del 1913, la natura è trasfigurata in una visione mistica ed introspettiva. L’arioso paesaggio è umanizzato: lo specchio d'acqua, gli astri, i monti sono esseri viventi, colti nel loro misterioso tremito. Il silenzio pervade le cose e l’anima: parola-chiave è “seno”. In questa immagine anfibologica, si compenetrano il cuore dell’uomo e l’insenatura del lago. Nel crepuscolo l’eco dei rintocchi scorre tra le valli, come linfa vitale. L’ultima quartina, in cui la cadenza di endecasillabi e settenari si concentra in una misura ieratica, culmina nella perplessa riflessione sul destino: una legge insondabile ma limpida lascia balenare, per un istante, la luce di là dalle cose.

Respira il lago un palpito sopito
e dan le stelle battiti di ciglia
divini: appare il mito
dei monti e origlia.

Per ogni seno l’ora intima scende
dalla campana: e silenzio indi vive;
ogni cosa s’intende
tra foci errando e sorgive.

Sopra gli uomini, in vere leggi pure,
accomuna il mistero della sorte
allegrezze e sciagure:
del male è il bene più forte.



APOCALISSI ALIENE: il libro

8 commenti:

  1. Cordialissimo Zret,
    bellissima poesia di questo controverso lirico, un po Religioso e un po Massone per via del padre, grande estimatore del poeta del Conero.

    Mi è saltato subito alla mente quando ho letto il suo nome, perché ha vissuto a Milano in via Tadino dove avevo la mia attività.

    wlady

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  2. Carissimo Wlady, la lirica che ho proposto è antecedente alla sua ordinazione a sacerdote, quando l'afflato spirituale non si era cristallizzato nell'adesione al cattolicesimo.
    Nei nostri tempi bui, un componimento come questo è una boccata d'ossigeno e di speranza.

    Grazie per aver apprezzato la bellezza della lirica. "La bellezza salverà il mondo?"

    Ciao

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  3. La sua certezza che sia il male l’unica certezza della vita lo faceva sentire un “estraneo” che avesse “sbagliato pianeta”. Anche lui un “alieno” o forse un “normale” in un mondo di “alieni” visto che decenni di presunto progresso hanno portato nuove schiavitù.
    “La bellezza salverà il mondo?” Vorrei crederci nonostante la “bella bruttezza” imperante in ogni trasmissione televisiva, in ogni rotocalco, in ogni strada.
    Un caro saluto Zret.

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  4. Ciao Margius, non so chi e quando salverà l'umanità (una parte), ma non sarà l'uomo. Penso piuttosto ad un avatar.

    Ciao e grazie.

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  5. Dopo una serie di vicissutini interiori legate non solo ai verdi anni ma protrattesi fino all'età matura, Clemente Rebora subì evidentemente una sorta di 'metanoia', di trasformazione interiore che lo fece approdare al Cattolicesimo.

    Il suo percorso lo accomuna per certi versi a personaggi come Papini e forse anche al filosofo Miguel de Unamuno, finito tuttavia suicida.
    La dottrina del Cattolicesimo abbracciata nella sua integralità dunque come soluzione finale ai contorcimenti, alle sofferenze e ai dubbi dell'anima.

    Può darsi che tali autori avessero ragione anche se, dal mio punto di vista, ci credo poco. Penso invece che per tutta questa gente la 'conversione' sia stata una specie di sbocco estetizzante, di soluzione provvisoria, di parcheggio forzato nell'impossibilità di compiere un vero e proprio salto noetico.

    Per Rebora la situazione si presenta tuttavia un tantino diversa da quella degli altri due autori in quanto egli ricevette l'ordinazione sacerdotale, evento oggettivo che muta qualitativamente colui che la riceve. Ma questo non dovette mutare necessariamente l'interiorità del poeta.

    Di recente, una rivista che si ricollega idealmente alla Tradizione Romana ha pubblicato un paio di lettere di Don Clemente datate 'maggio 1949'. Tali lettere erano indirizzate al noto esoterista romano Julius Evola, in quel periodo convalescente ma ormai infermo per una ferita alla colonna vertebrale riportata sotto i bombardamenti in quel di Vienna nel 1944.

    Ebbene Rebora chiede ad Evola di recarsi con lui in pellegrinaggio a Lourdes indubbiamente per sollecitarlo a 'chiedere la grazia' e magari per convertirsi poi al Cattolicesimo.

    La cosa fa un pò sorridere perchè il fatto tradisce la mentalità pretesca ormai stabilmente acquisita dal Rebora. I soliti 'clichés', le solite prediche, le solite esortazioni cui ci hanno abituato codeste persone ma che non arrivano mai al cuore del problema metafisico che attanaglia l'uomo.

    In definitiva temo che sia di gran lunga preferibile il Rebora 'raté' ma genuino, autentico e un pò mistico della lirica scritta nel 1912 che non il Rebora venuto dopo.
    Le premesse non hanno purtroppo portato gran frutto.

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  6. Devo dire che Clemente Rebora non è un nome del tutto sconosciuto. Questa splendida lirica però non la conoscevo.
    Bello che tu l'abbia qui riportata. Parole che evocano un'atmosfera sognante, immersa nella bellezza. Mi è piaciuta tantissimo.

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  7. Grazie Paolo, del dotto e copioso approfondimento. Non ero a conoscenza di questi episodi legati ad un Rebora ormai omologato in una fede atrofizzata. Posso solo condividere la tua analisi. Resta, come nota Ambra che saluto e ringrazio, la bellezza di questa lirica permeata di un senso mistico e profondamente religioso della natura.

    Ciao e grazie.

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  8. P.S. E' vero: con queste omelie non si arriva mai al male metafisico che stritola l'uomo. Si elude il buio, invece di affrontarlo.

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