29 ottobre, 2012

Che cosa cela il cielo?

Un universo fantasma

Che cosa cela il cielo? Il firmamento crivellato di stelle e la volta diurna sono proprio quel che sembrano? La descrizione della cosmologia ufficiale ha delle zone d’ombra, ma ciò non autorizza a pensare che non sia plausibile. Eppure…

L’ingegnere minerario ed inventore austriaco Hans Horbiger (1860-1931) elaborò la teoria del ghiaccio cosmico. Horbiger sosteneva che, durante la sua storia geologica, la Terra aveva catturato in sequenza quattro lune. Ciascuna di esse, inclusa l’attuale, nonché tutti i pianeti del sistema solare erano globi di roccia coperta da uno strato di ghiaccio spesso centinaia di chilometri. Gli astri erano dei blocchi di ghiaccio che riflettevano i raggi del Sole. Ognuno dei satelliti, nel corso di migliaia di anni, attratto dalla gravità terrestre, si era avvicinato al nostro pianeta, gelando gradualmente gli oceani e provocando lunghe ere glaciali, finché l’interazione delle forze gravitazionali avevano frantumato la luna. Cadde una pioggia di pietre e ghiaccio, seguìta dall’inondazione dovuta al disgelo dei mari. La distruzione della terza luna aveva segnato la fine dell’ultima glaciazione ed era stata l’origine della leggenda del diluvio universale (qui Horbiger anticipò Immanuel Velikovsky, autore di “Mondi in collisione”): i superstiti del cataclisma erano stati venerati come i progenitori dell’umanità.

Il tedesco Peter Bender, richiamandosi alle idee dello statunitense Cyrus Teed, desunte soprattutto da “The cellular cosmogony or the Earth a concave sphere”, disegnò, dopo aver semplificato le leggi ottiche e le polarità planetarie di Teed, un cosmo che definì “universo fantasma”. Al centro della Terra concava, Bender sospese una grande sfera azzurra, intorno alla quale il Sole, una massa di roccia fusa con un diametro di circa 250 chilometri, la luna e le stelle, masse più piccole, ruotavano a velocità e distanze diverse. Il globo era costellato di minuscoli punti che apparivano come astri. L’atmosfera, spessa poco più di sessanta chilometri, defletteva i raggi luminosi, dando l’impressione che gli astri si muovessero nel cielo, laddove l’alternarsi di giorno e notte erano determinati dalle rispettive posizioni dell’universo fantasma e del Sole. Se questo si interponeva tra noi e la sfera scura, era giorno; quando si trovava dietro, era notte. Il cosmo teorizzato da Bender prelude alla concezione, per così dire, olografica, di Giannini.

F. Amedeo Giannini fu autore di “World beyond the poles”(1959), un testo che andava oltre Horbiger. L’ingegnere, infatti, delineava un modello in contrasto con la scienza ufficiale, ma non rinunciando a considerare i corpi celesti degli oggetti concreti; invece Giannini li smaterializzava, trasformandoli in immagini ingannevoli.

Giannini descriveva una Terra che non è sferica, ma a forma di fuso con i Poli Nord e Sud illusori. La superficie del pianeta non termina alle estremità della “conocchia”, poiché prosegue nello spazio, curvando all’indietro sopra le nostre teste (?). Le stelle, i pianeti, le galassie e le comete sono “aree globulari ed isolate di una superficie esterna, continua ed ininterrotta”. Ciò significa che i corpi celesti non sono affatto tali, bensì punti sulla vasta estensione dell’universo, parte del quale è costituita dalla superficie terrestre. Lo spazio è un’illusione creata dal cristallino dei nostri occhi, dalle lenti dei telescopi e delle macchine fotografiche.

Alice nel paese dei miraggi

E’ curioso che un paradigma cosmologico di tipo olografico, pur nelle inevitabili differenze, sia stato valorizzato recentemente dall’astrofisica Giuliana Conforto. La Conforto ritiene che le stelle non siano solo corpi massicci, a differenza di quanto credono gli astronomi, ma immagini olografiche proiettate sul gigantesco schermo tridimensionale che avvolge il pianeta, il campo magnetico terrestre, a forma di mela. Il campo elettromagnetico intrappola due schermi al plasma: le fasce di Van Allen che sono oggi in via di dissoluzione. L’universo come ci appare è una matrice, una pellicola digitale che abbiamo scambiato per realtà: la vera realtà dunque è occultata dietro parvenze fallaci.

Si chiede la Conforto: “E se la luna, visibile in cielo, fosse non un corpo reale, ma un ologramma, un’immagine del vero satellite, forse molto più piccolo, il luogo extraterrestre dove si sono recati gli astronauti delle Missioni Apollo? […] Gli astronauti delle Missioni Apollo non sono rimasti a terra: sono andati su un satellite artificiale, immerso in una ‘zona’ senza campo magnetico, quindi invisibile, ma qui vicino, forse dietro l’angolo, ‘dietro’ la prima fascia di Van Allen, fuori dalla consueta visuale che chiamiamo “cielo”. […]

Se il campo magnetico si rovescia, come è già successo tante altre volte, il ‘cielo’ cambia, per il semplice fatto che il ‘cielo’ è un insieme di schermi al plasma, specchi curvi che amplificano e distorcono le immagini. La terra è circondata da una mela: è il campo magnetico terrestre, a sua volta immerso in una mela ancora più grossa, una Big apple, che è il campo magnetico solare, percorso da fiumi di particelle ad alta energia”. […]

Siamo come Alice nel paese delle meraviglie: gli specchi restituiscono immagini di immagini. Nulla è come appare ed i fenomeni si sovrappongono, si intersecano, si sfaccettano per ricomporsi. Chi abbia osservato il firmamento in questi ultimi decenni avrà notato particolari configurazioni, dimensioni inusitate, inattesi splendori, malgrado… È possibile che un indebolimento del campo elettromagnetico terrestre implichi una disgregazione degli aspetti tridimensionali, quasi fossero i fotogrammi tremolanti di un canale televisivo fuori sintonia. Il tempo subisce un collasso. Le forme quindi si disintegrano progressivamente. Il velo si assottiglia, si strappa, lascia intravedere l’invisibile. Possiamo escludere che le operazioni di Geoingegneria non siano pure volte a ricucire il tessuto che si sta per lacerare?

Comprendiamo che scenari come quelli cui si è accennato collidono sia con il senso comune sia con le “certezze” dell’astronomia, ma parecchi rompicapi ancora assillano i cosmologi accademici, perplessi di fronte alla cosiddetta materia oscura, ai buchi neri etc. E’ un campo dove le sorprese sono quotidiane. Oggigiorno, almeno le frange pionieristiche del pensiero scientifico sono meno recalcitranti ad accogliere sistemi che prescindono da una presunta oggettività assoluta, grazie segnatamente al modello interpretativo di David Bohm e di fisici che hanno elaborato ipotesi simili. E’ errato chiudersi a riccio al cospetto di teorie eccentriche, di mitologie ancestrali, oggi rilette e riproposte.

Se esiste una saggezza nella lingua, ricordando che il termine latino “caelum” (cielo) è probabilmente legato al verbo “celare”(nascondere, occultare), siamo tentati di pensare che gli antichi avessero intuito la verità. Il cielo eclissa qualcosa: dimensioni parallele, cavità atemporali, meandri siderei, universi secanti… Che cosa di preciso non è dato sapere… almeno per ora.

Libri consultati:

G. Conforto, Baby sun, Diegaro di Cesena, 2008
W. Kafton-Minkel, Mondi sotterranei, il mito della Terra cava, Roma, 2012
C. Paglialunga, Alla scoperta della Terra cava, Diegaro di Cesena, 2010


APOCALISSI ALIENE: il libro

La squola della Gelmini - di Antonio Marcianò - Gemme scolastiche da collezionare

27 ottobre, 2012

Ammazza-romanzo

Chi oggi non si cimenta nella scrittura di un romanzo? Ci si improvvisa narratori: un altro scartafaccio va ad accatastarsi sugli scaffali delle librerie. Non solo, i circoli culturali organizzano ampollose conferenze di presentazione. La noia infinita di questi simposi letterari supera persino quello di paludati programmi televisivi, a base di "scienza e tecnologia". E’ la noia la palude da dove esalano i gas mefitici che amano respirare a pieni polmoni letterati abortiti, critici stitici ed il pubblico vanesio. Tutto è già stato scritto: a che pro aggiungere all’arcinoto il già noto?

Da quando Sofocle compose “Edipo re”, abbiamo compreso che ognuno ha il suo destino cieco, ineluttabile. Può cambiare la copertina, ma tutti questi giovani di brutte speranze hanno stuccato con la loro pretenziosa narrativa. Se almeno sapessero scrivere, ma il linguaggio si barcamena tra una fiacca imitazione di Pennac ed il gergo degli adolescenti. Passi. Codesti imbrattacarte non incarnano una visione del mondo purchessia: spiattellano solo la loro miserabile esistenza post-borghese. I loro romanzi sono simili ai bocconcini per cani e gatti: sono contenuti in scatole sfavillanti e decantati come sani e succulenti pasti, ma ti vengono i brividi a pensare con quali scarti sono prodotti.

Vero è che il mondo è spesso atroce, disgustoso, inquietante. Allora è meglio rifugiarsi nell’hortus conclusus della “letteratura”, nello snobismo dell’originalità a tutti i costi. Intrecci intricati, eroi sopra le righe, una finta presa sulla realtà, alla Saviano, mestierante delle "verità" preconfezionate dai media delle oligarchie. Non crediamo a chi afferma di essere animato dalla passione per la verità: se non è uno sciocco, è un tronfio retore dell’antimafia, della "legalità". Ecco le storie impregnate di cronaca nera alla Lucarelli, adatte al palato grossolano di utenti che si succhiano le serie televisive con Carabinieri in gonnella. Istituzioni sciroppose difendono il cittadino dai crimini catodici.

L’altra faccia della patacca è il racconto pseudo-storico, magari ambientato in un Medioevo di cartapesta dove il monaco ed il cavaliere si esprimono come un frequentatore di discoteche. Qual è la differenza tra un romanzo ed uno scemeggiato? Tutto è piatto, dozzinale, stiracchiato… sempre le solite risciacquature.

E’ molto più saggio, se se ne è capaci, scrivere fulminei aforismi o saggi appuntiti. La vita, questa linea spezzata tra la nascita e la morte, può congelarsi in un romanzo che sia altrettanto spezzato, incastrato, protruso. Ben venga allora lo strappo, non ricucito nel quietismo consolatorio della morale corrente, in stile recita scolastica. Sia il solco nella bonaccia del tedio, l’arricciatura sulla pagina liscia. Le contraddizioni si possono ricomporre quando squarciano il perbenismo, quando sovvertono il pensiero dominante.

APOCALISSI ALIENE: il libro

La squola della Gelmini - di Antonio Marcianò - Gemme scolastiche da collezionare

23 ottobre, 2012

Dagli U.F.O. nazionalsocialisti a H.A.A.R.P. (terza ed ultima parte)

Leggi qui la seconda parte

I portali del Destino

Il documentario russo del 2006 “Terzo Reich: operazione U.F.O.” esplora le testimonianze circa la base segreta nazista in Antartide e l’attacco sferrato da una flottiglia di dischi volanti all’Ammiraglio Richard Byrd, nel corso della sua missione denominata “Highjump”.

Uno dei temi centrali del documento è la presunta esistenza della 'Base 211', la leggendaria struttura ipogea teutonica in Antartide. Richiamandosi all’interesse dei Tedeschi per l’Antartide, le relazioni a proposito del sottomarino U-Boat e la presunta scomparsa di migliaia di scienziati nazisti e ingegneri alla fine della guerra, uomini che non approdarono in Sud America attraverso l’operazione “Odessa”, gestita dal Vaticano, né negli Stati Uniti con l’operazione “Paperclip”, è dipinto un quadro inquietante.

Il filmato, arricchito con interviste a militari e specialisti russi di alto rango, non rispolvera soltanto le saghe, i riti ed i simboli del nazionalsocialismo occulto (il Santo Graal, la lancia di Longino, la Terra cava, Agarthi…), poiché introduce ingredienti nuovi. Certamente taluni legami possono sembrare delle forzature, ma alcuni fatti sono incontestabili: oltre alla Nuova Svevia, le basi statunitensi in Antartide popolate (diremmo infestate) da agenti della N.S.A. (National security agency) e della C.I.A., il racconto di Byrd a proposito dell’aggressione subìta dal suo equipaggio e le dichiarazioni al Congresso dell’Ammiraglio, secondo cui i “nemici” sono in grado di spostarsi da polo a polo, i numerosi avvistamenti di strani ordigni nel Mar glaciale antartico.

Ci aggiriamo in una landa brumosa dove informazioni, fantasie, speculazioni, inganni tendono a confondersi ed a scambiarsi le sembianze, come nella nebbia fitta gli alberi possono sembrare imponenti pilastri ed archi di una cattedrale gotica. Viene a taglio un aforisma di James Jesus Angleton, responsabile della C.I.A.: “Siamo entrati in un deserto di specchi”.

Tuttavia la ricerca non si ferma di fronte all’apparente inverosimiglianza di certe prospettive: così è forse plausibile che gli impianti H.A.A.R.P., non a caso ubicati per lo più non molto distanti del polo Nord, siano finalizzati – come ventilato dagli autori del documentario – a creare dei ponti spazio-temporali. I poli non sarebbero solo dei luoghi geografici, ma dei portali, gestiti con l’irradiazione di apposite energie. I poli sarebbero degli stargate attraverso cui astronavi extraterrestri o ctonie entrano ed escono.

Giancarlo Barbadoro si sofferma sui vari enigmi dell’Antartide, tra cui la mappa di Piri Reis, il caso del Lago Vostok, i resti di un’antica civiltà. Qui ci interessa in particolar modo quanto l’autore scrive a proposito di un presunto timegate antartico: “Viene raccontato da alcuni testimoni che il 27 gennaio 1996, mentre un’équipe di scienziati statunitensi e britannici stava svolgendo delle ricerche in loco, la ricercatrice Mariann McLein comunicò di aver osservato un inconsueto vortice di nebbia grigia al di sopra del Polo Sud. In un primo momento la spiegazione del fenomeno fu che doveva trattarsi di una tempesta di sabbia. Tuttavia, col passare del tempo, la grande nube grigia non cambiava forma né si spostava dalle coordinate in cui era stata registrata per la prima volta. I ricercatori dunque decisero di investigare sull’insolita manifestazione, lanciando un pallone sonda di tipo meteorologico dotato di strumentazioni in grado di rilevare la velocità del vento, la temperatura e la composizione dell’aria. Il pallone, una volta in prossimità del vortice, all’improvviso scomparve alla vista. Recuperata la sonda, furono analizzate le informazioni immagazzinate dalle apparecchiature di bordo e con sorpresa si accorsero che il cronometro di bordo mostrava la data del 27 gennaio 1965, lo stesso giorno del lancio, ma con la data di trent’anni prima. Ritenendo che si trattasse di un errore della strumentazione, i ricercatori, dopo aver controllato che l’equipaggiamento fosse funzionante, compirono più volte l’esperimento, lasciando che la sonda finisse dentro la nuvola bigia sulle loro teste, ma tutte le volte in cui riportavano a terra il pallone, l’orologio installato mostrava ancora l’anno 1965. […] Le indagini sull’inspiegabile fenomeno sono ancora in corso: si suppone che il vortice sopra il Polo Sud possa essere la manifestazione di un wormhole”. [2]

Anche il ricercatore Alfred Lambremont Webre vede nei poli dei passaggi interdimensionali e li collega alle stazioni H.A.A.R.P. Egli ritiene che esse siano delle armi per bloccare le intrusioni degli U.F.O. nonché degli spaventosi strumenti capaci di devastare la Terra. Il nesso non è forse così incredibile. Quali siano gli scopi nascosti dei riscaldatori ionosferici, oltre a quelli accertati inerenti alla modificazione climatica e tettonica, è, però, difficile stabilire, ossia gli Altri (alcuni per lo meno) sono alleati del governo occulto o antagonisti? Vale a dire, H.A.A.R.P. servirebbe a favorire gli ingressi o ad impedirli?

Questa ed altre domande si affollano e diventano sempre più pressanti ora che il portale sta per aprirsi…

[2] Purtroppo l’articolo di Barbadoro non indica le fonti.

Bibliografia essenziale:

G. Barbadoro, Il caso del lago Vostok e altri misteri dell’Antartide, 2012
Id., Le piramidi dell’Antartide, 2012
M. Barbetta, Aldebaran e le Pleiadi, 2004
G. Galli, Hitler e il nazismo magico, 2005
A. Lissoni, U.F.O., i dossier top secret, 2011
R. Malini, U.F.O., il dizionario etimologico, Firenza, Milano, 2003, s.v. Adamski, Meier, Vesco
A. Marcianò, Apocalissi aliene, 2008
C. Paglialunga, Alla scoperta della Terra cava, Diegaro di Cesena, 2010
L. Pauwels, J. Bergier, Il mattino dei maghi, Milano, 1997
M. Pizzuti, Rivelazioni scientifiche non autorizzate, Roma, 2011, capitolo V, L’eredità occulta di Tesla: gli U.F.O. nazisti


APOCALISSI ALIENE: il libro

La squola della Gelmini - di Antonio Marcianò - Gemme scolastiche da collezionare

20 ottobre, 2012

L'incubo dell'universo-software

Alcune esperienze visionarie (penso in special modo a certi raggelanti racconti di Phlip K. Dick ed all’ambiguo apologo “Matrix”) suggeriscono sfumature artificiali e tecnologiche del mondo. L’universo è descritto alla maniera di un programma informatico interattivo, come cablato all’interno di ciascuno di noi.

Gli oggetti sono bit. Le emozioni, i sentimenti ed i pensieri informazioni digitali; la percezione è generata da un software. Nell’officina aliena è tutto rigidamente organizzato e diretto. Gli automi controllano automi che si credono liberi: le loro azioni sono sequenze di un filmato. I gesti si spezzano, il movimento è una successione di fotogrammi bloccati.

Il cosmo è un gioco di ruolo, con piattaforme e livelli. Le leggi di natura (ma è una “natura” meccanica) sono le regole del gioco. L’applicativo viene di volta in volta aggiornato. Ogni tanto un virus penetra nel sistema. Nulla ha scopo né senso: sullo schermo dello spazio brulicano cifre fosforescenti, serie infinite di zero e di uno.

Il fulcro di tutto è un dispositivo generatore di numeri, un’intelligenza artificiale la cui anima è un microprocessore.

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La squola della Gelmini - di Antonio Marcianò - Gemme scolastiche da collezionare

16 ottobre, 2012

Le strane morti alla "Marconi"

Nel voluminoso ed istruttivo saggio “Extraterrestri amici e ostili”, George C. Andrews indaga l’inquietante sequela di morti che funestarono la società Marconi Ltd, azienda attiva nel settore della sicurezza e dei sistemi di difesa aerospaziale. L’autore desume quasi tutte le informazioni da un articolo di cronaca apparso sul Tulsa World, a firma di Leslie Shepherd dell’Associated press.

Il mistero ebbe inizio il 5 agosto 1986 quando Vimal Dajibahi, 24 anni fu ritrovato esanime sulla sponda del fiume sotto il ponte di Clifton, presso Bristol (Inghilterra sud occidentale). Si ventilò l’ipotesi del suicidio, ma gli esami del medico legale non chiarirono le cause del decesso. Nessuno seppe spiegare perché Dajibahi, giovane ingegnere che verificava i sistemi di guida per i siluri, all’interno della Marconi underwater systems ltd, presso Londra, si trovasse a 168 kilomteri dalla capitale britannica.

Tre mesi dopo la scomparsa di Dajibahi, Ashad Sharif, un analista informatico che lavorava ad un progetto di difesa in un’altra sede della Marconi, vicino a Londra, fu trovato morto in un parco nei dintorni di Bristol. Secondo l’inchiesta, il tecnico si tolse la vita, impiccandosi, dopo aver appeso una corda ad un ramo ed aver messo in moto la sua automobile. Un suicidio alquanto macchinoso…

Nel gennaio del 1987 fu la volta del programmatore di computer Richard Pugh il cui cadavere fu rinvenuto nell’abitazione di Londra. Le circostanze del decesso non furono mai accertate. Pugh, 37 anni, aveva lavorato per il Ministero della difesa.

Nello stesso anno John Brittam, esperto informatico di 52 anni, fu trovato privo di vita nella sua auto posteggiata nel garage di casa. Brittam era stato impiegato presso la Royal armaments research and development establishment.

Un mese dopo morì Peter Peabell, docente universitario titolare della cattedra di Metallurgia. Si trattava di un apparente suicidio, con Peabell esanime sotto la sua vettura con il motore acceso. Fonti governative lasciarono trapelare che l’ordinario era stato impegnato in un progetto che studiava i nuovi impieghi del berillio in Unione sovietica.

Nel marzo del 1987 l’esperto di sistemi informatici David Sands entrò con la vettura carica di taniche contenenti carburante in un ristorante vuoto, bruciando vivo. Sands, 37 anni, aveva lavorato per Easama, una società collegata alla Marconi, con un contratto inerente alla difesa aerea.

Nell’aprile 1987 perirono altri due scienziati. Uno era Mark Wisner, 25 anni, specialista di computer alla base della R.A.F. per il collaudo degli armamenti. Un’inchiesta stabilì che era morto suicida, soffocandosi con un sacchetto di plastica.(!) L’altro, Victor Moore, era un esperto della Marconi: in questo caso gli inquirenti conclusero che il decesso era stato causato da overdose. Wisner si stava occupando della creazione di programmi informatici destinati ai caccia Tornado, mentre Moore aveva progettato sistemi di rilevazione in condizuioni di oscurità.

Tempo dopo fu trovata su una scogliera la salma di Russell Smith, scienziato di 25 anni, impiegato all’Unità per l’energia atomica a Harvell. La polizia asserì che era stata reperita una lettera nell’auto di Smith, ma si rifiutò di rivelare il contenuto dello scritto.

Il 25 marzo del 1988 un altro addetto della Marconi, il 52enne Trevor Knight, fu rinvenuto morto nella sua vettura satura di monossido di carbonio. Knight, ingegnere elettronico, si era interessato di missili teleguidati presso il quartier generale della società.

A questi decessi Andrews aggiunge l’incidente fatale che occorse al pilota collaudatore Humphrey Taylor Scott il 22 ottobre 1987. Scott partì da una base aerea del Surrey a bordo di Harrier GR-5, velivolo a decollo verticale. Egli doveva colladaure l’unità prima che fosse consegnata alla R.A.F. Qualche minuto dopo il decollo, il controllore di volo ricevette una regolare comunicazione via radio da Scott, ma in seguito perse ogni contatto. Non fu captato alcun segnale di May day. Il 23 ottobre il corpo dello sventurato aviatore, con indosso tuta, paracadute e giubbotto gonfiabile, fu individuato in un campo del Wiltshire.[1]

Marcello Soave in “Ufologi uccisi”, sottolinea che gli specialisti della Marconi erano implicati in maniera diretta o indiretta in un piano di difesa spaziale, noto come “Scudo stellare”. Inoltre l’autore evidenzia un nesso tra la singolare serie di “suicidi” o “morti accidentali” e scottanti questioni ufologiche. Scrive Soave: “Molti hanno ipotizzato che la ricerca fu avviata con lo scopo di proteggere gli Stati Uniti sia dall’Unione sovietica sia dagli alieni. Probabilmente il KGB, comprendendo che le forze occidentali stavano perfezionando una potente arma che poteva essere usata nello spazio contro di loro, sferrò un'offensiva per vanificare il progetto. […] Forse gli scienziati eliminati avevano scoperto che i vertici militari erano in combutta con i Grigi”.

Qualcuno è proclive a ritenere che nella strage fossero stati coinvolti extraterrestri preoccupati che i militari stessero creando degli apparati volti a danneggiare o a distruggere le loro navicelle. Andrews, invece, suppone che gli esperti ad un certo punto si erano accorti che i loro servigi erano sfruttati da persone controllate dai Grigi, esseri per nulla interessati al benessere dell’umanità. In particolare Andrews nota che l’accademico Peter Peabell, prima di essere ucciso, stava profondendo il suo impegno in uno studio sul berillio, un elemento ad alta tenuta, destinato ad essere impiegato nella costruzione di strutture subacquee. Non sono poche le fonti che si riferiscono all’esistenza di basi aliene site sui fondali marini del pianeta.

E’ una storia molto sinistra, allarmante, piena di ombre: è sicuro che le autorità e gli investigatori spacciarono per suicidi una catena di assassinii, ma è arduo comprendere chi si trovi dietro questo eccidio: una potenza straniera? alieni alleati del governo occulto? una forza esterna?

Infine, perché i decessi sembrano essersi interrotti? Il programma dello scudo spaziale è stato solo ufficialmente accantonato. Stando ad alcuni ricercatori – si pensi ad Alfred Lambremont Webre - i sistemi H.A.A.R.P. sono uno sviluppo dei dispositivi bellici spaziali avviati negli anni ‘80 del XX secolo. Dispositivi bellici ideati e realizzati per combattere chi?

Forse non è difficile rispondere.

[1] Alcuni autori aggiungono alla ferale lista altri "suicidi" ed "incidenti".

Fonti:

G. C. Andrews, Extraterrestri amici e ostili, pp. 340-344, 1986
M. Soave, Ufologi uccisi, 2007


APOCALISSI ALIENE: il libro

La squola della Gelmini - di Antonio Marcianò - Gemme scolastiche da collezionare

14 ottobre, 2012

Mito


Quel ch’è stato e che sarà non è la realtà. (R.R.)

Si può comprendere per quale ragione Nietzsche provò uno sgomento indicibile, allorché fu folgorato dall’idea dell’eterno ritorno dell’uguale. Si può concepire qualcosa di più terribile? Il ciclo cosmico si ripete in eterno, senza alcun mutamento. Quel che accade oggi è già accaduto innumeri volte ed è destinato a rinnovarsi ad infinitum. Il tempo si avvita su sé stesso in un movimento che è paralisi nell’istante privo di senso. Il qui ed ora sono per sempre, con tutto il loro assurdo, insostenibile peso.

Se esiste una via d’uscita, essa non è in un’età rigenerata, ma nel mito. I miti antichi sono gli archetipi di eventi che sono collocati in un principio antecedente l’inizio stesso. Gli avvenimenti non si dipanano lungo una linea cronologica, ma si collocano in un spazio metafisico. Perciò gli eroi, sconfitto il tempo incarnato da creature spaventose, ascendono al cielo. Lassù i semidei sono trasfigurati in scintillanti costellazioni.

Il mito non è prima del tempo, ma al di fuori. Le avventure dei semidei adombrano un significato esemplare: la caducità trascesa nell’infinito. Così si avvera il sogno di un mondo salvato dal disfacimento o dalla perennità della caduta che non tocca mai il fondo. La vita si emancipa dall’errore primigenio, è redenta dalla sua insignificanza.

Che cos'è il mito, se non la verità che rifiuta di degradarsi nel verosimile?

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La squola della Gelmini - di Antonio Marcianò - Gemme scolastiche da collezionare

11 ottobre, 2012

Memoria del futuro

Nel saggio “Bufale spaziali” Nick Redfern esamina alcuni eventi ufologici in cui è coinvolta la N.A.S.A. con i suoi segreti, insabbiamenti e depistaggi. Il capitolo IV del libro, “Il caso dell’Area 51”, è imperniato sulle rivelazioni di tale John (nato a Bloomington, Minnesota ed in forza presso il New York Department tra il 1948 ed il 1959). L’autore incontrò John nel 2005 e ne ricevette informazioni inerenti alcuni piani occulti dell’ente spaziale statunitense incentrati sugli U.F.O. Questi progetti erano stati elaborati all’interno dell’installazione nota come “Area 51”, sita nel deserto del Nevada.[1]

John, che era stato agente dell’F.B.I, cominciò a lavorare nella base nell’aprile del 1971. Destinato al complesso denominato “Dipartimento storico”, l’uomo venne a sapere da tre tecnici della N.A.S.A. che il settore, cui era stato assegnato, si occupava dello sviluppo del prototipo di un aereo avveniristico, della creazione di composti per la guerra chimica, di armi speciali e di “qualcos’altro”. Quel qualcos’altro – lasciarono intuire i tre – verteva su ricerche riferite ad accadimenti occorsi negli anni ’40 del XX secolo.

Un rapporto in particolare destò interesse ed apprensione in John: era un corposo documento intitolato “Analisi di una muta 48 Armageddon”. L’incartamento conteneva l’analisi scientifica di capi indossati da creature i cui corpi erano stati recuperati nel New Mexico nel 1947, in seguito allo schianto di un oggetto volante. Una volta eseguiti gli esami, fu accertato che le tute parevano confezionate con quello che oggi definiremmo una specie di velcro. Inoltre esse sembravano dotate di vita propria e di una forma di memoria incorporata. Uno dei componenti l’équipe scientifica, un tipo mingherlino, si offerse di indossare una delle mute. L’indumento aderì perfettamente al corpo del malcapitato che, subito dopo esserselo infilato, cominciò a manifestare sintomi di claustrofobia ed a captare inquietanti immagini mentali di un tetro e spaventoso futuro per la Terra e per la vita sul pianeta. Era uno scenario di un mondo avvelenato dalle radiazioni, con città in rovina ed enormi funghi atomici che s’innalzavano sullo sfondo di un cielo perennemente cupo, mentre dischi volanti sfrecciavano su territori devastati. Aspetto ancora più terribile: l’umanità era stata decimata dal contagio provocato da un virus mortale che attaccava e distruggeva il sistema immunitario. L’uomo che aveva indossato la “calzamaglia” ebbe l’impressione distinta e conturbante che gli esseri alieni odiassero la razza umana ed avessero congegnato un progetto per innescare un olocausto nucleare.

Come interpretare i ragguagli provenienti dal succitato whistleblower? Sono rivelazioni, come sempre, da prendere con le pinze, ma che non si possono ignorare del tutto. Non ci dilunghiamo circa questioni metodologiche ed ermeneutiche in relazione a temi delicati che travalicano i confortevoli confini della scienza accademica. Sono, infatti, problemi già affrontati.

Dunque ci limitiamo a sottolineare alcune invarianti e convergenze del caso in esame: la “profezia” aliena qui ottenuta in modo stravagante, per mezzo di un abito (biotecnologico?) in grado di conservare e trasmettere il vissuto mnemonico di un presunto ufonauta, l’azione nascosta di una genia malevola, il firmamento offuscato, la delineazione di un avvenire spaventevole in cui la Terra è ridotta ad una waste land, simile a quella descritta da T.S. Eliot…

Il tutto valga per esorcizzare.

[1] Il testo di Redfern è diseguale: a prescindere dall’infelice titolo italiano, dal… cattivissimo sapore (il titolo originale è, invece, il quanto mai opportuno “The N.A.S.A. conspiracies”), si alternano nel libro parti superficiali e persino forvianti a segmenti di grande interesse, ma dove è palese il debito dell’autore nei confronti del valente ufologo Mac Tonnies, scomparso prematuramente all’età di trentaquattro anni.

Fonte: N. Redfern, Bufale spaziali, Milano, 2011, pp. 63-80

APOCALISSI ALIENE: il libro

La squola della Gelmini - di Antonio Marcianò - Gemme scolastiche da collezionare

08 ottobre, 2012

Dagli U.F.O. nazionalsocialisti a H.A.A.R.P. (seconda parte)

Leggi qui la prima parte.

Tra i ghiacci dell’Antartide

Era stato Karl Haushofer nel 1919 a fondare la Vril Gesellschaft, la confraternita iniziatica al cui interno operarono due sensitivi, la croata Maria Orsic, ed un certo Sigrun. Essi ricevettero una comunicazione telepatica in cui si fornivano istruzioni per costruire una macchina del tempo o un ordigno volante. L’informazione, che veniva da Aldebaran, comprendeva pure la storia di due razze abitanti su pianeti orbitanti attorno a questa stella. Quando quelle civiltà vennero a sapere che il loro sole si sarebbe espanso, organizzarono, 500 milioni di anni fa, un’evacuazione di massa e si diressero verso il pianeta Mallona, di cui rimane la fascia degli asteroidi tra Marte e Giove, poi si trasferirono su Marte, infine sulla Terra, dove incivilirono le popolazioni presumeriche. [1]

Certuni si avventurano in congetture estreme: i Nazionalsocialisti avvrebbero pure costruito delle basi sotterranee sulla Luna già nel 1942. Inoltre la loro struttura segreta nell’Antartico spiegherebbe gli avvistamenti di U.F.O. nel secondo dopoguerra: dall’installazione nel continente ghiacciato, i transfughi del Terzo Reich vagheggiavano di conquistare il mondo.

È evidente che siamo di fronte ad uno scenario in cui le ricostruzioni storiche sfumano in elucubrazioni in buona misura fantasiose, sennonché il nazionalsocialismo esoterico, con tutti i suoi miti e tutte le sue missioni, è una realtà: la storia stessa, dietro le normalizzanti pagine dei manuali e delle fonti ufficiali, è simile ad un palinsesto. Così, scorticandone la superficie, si scoprono sotto il primo strato, inopinati scritti. Dunque non ci sentiamo di liquidare certe supposizioni come fantasticherie.

Vediamo in primo luogo di chiarire le affinità morfologiche tra i dischi tedeschi ed i ricognitori di Adamski. Scartiamo l’ipotesi terrestre nella sua declinazione radicale, per cui tutti gli U.F.O. sarebbero velivoli militari dalle performances avvveniristiche, senza escludere, però, che certi O.V.N.I. lo siano. E’, invece, possibile che una fazione, presentatasi come pleiadiana, si fosse alleata con la Germania di Hitler cui cedette conoscenze e tecnologie. In seguito, i sedicenti alieni, dopo aver abbandonata (almeno all’apparenza) per qualche motivo la Germania, inscenò la pantomima con Adamski, i cui amici sostenevano di provenire da Venere e Saturno. Se così fosse, si comprenderebbero le analogie di cui sopra. Il periodo in cui Adamski visse le sue avventure con esseri interplanetari è immediatamente susseguente alla fine della conflagrazione mondiale e copre un arco di tempo che va dal 1946 al 1961. Si ha quasi l’impressione che gli ufonauti avessero deciso, dopo il 1945, di spostare il baricentro dei loro piani dal’Europa centrale agli Stati Uniti. Sebbbene l’intera storia dell’astrofilo polacco-statunitense sia stata quasi sempre respinta come una colossale impostura, va ricordato che essa contiene particolari che depongono a favore dell’autenticità di almeno alcuni episodi. Non solo, U.F.O. adamskiani sono stati avvistati in alquanti paesi, anche negli ultimi anni.

I Pleiadiani sono anche i protagonisti degli incontri con il controverso Billy Meier, il contattista svizzero che comunicò con l’avvenente Semjase, la donna che capitanava i visitatori (sul nome Semjase si potrebbe disquisire a lungo…). Ora, gli oggetti volanti immortalati da Meier non sono così differenti dalle navicelle di Adamski, di cui paiono, sotto il profilo estetico, una versione più moderna dalle linee squadrate.

Un altro addentellato merita qualche postilla. Ci riferiamo alla misteriosa base germanica in Antartide.

[1] Il termine “vril” risale al letterato ed uomo poitico britannico, Edward Bulwer-Lytton (1803-1873). Bulwer Lytton nell’opera “Vril: la razza a venire”, descrive una specie di uomini molto più avanzata della nostra, con poteri tali da renderli virtualmente divini. Questi esseri, alati e vegetariani, possiedono airboats (navi aeree) energia elettrica, nucleare e persino qualcosa di analogo al laser. Essi vivono nascosti in caverne sotterranee situate al centro della Terra, ma hanno intenzione di uscirne per governare il mondo. Lytton aggiunge che questa civiltà è depositaria di una conoscenza segreta che permetterà di cambiare la specie umana, trasformandola in una simile agli uomini celesti.

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