30 luglio, 2013

Huitzilopochtli e la Terra promessa

Gli Aztechi, che è meglio definire Mexica, furono un popolo meso-americano. Di ceppo nahua, essi si insediarono nell’altopiano del Messico centrale nel XIV secolo: ivi fondarono la loro capitale, Tenochtitlan, presso il lago Texcoco. Nel 1427, guidati dal re Izcoatl, sconfissero i loro rivali Tepanechi, assicurandosi l’egemonia nella regione. L’espansionismo azteco continuò fino all’ultimo sovrano, Moctezuma II. Popolo guerriero, gli Aztechi non eliminarono le strutture economico-sociali delle genti assoggettate, ma le resero tributarie per ricavarne schiavi e prigionieri da sacrificare agli dei.

Incerta è la terra d’origine dei Mexica. Forse provenivano dagli attuali Stati Uniti meridionali, da una non identificata città chiamata Aztlan, descritta come un centro circondato dalle acque. E’ probabile che questo popolo comprendesse due gruppi principali: uno nomade e piuttosto rozzo, ed un altro semi-stanziale e più progredito. [1]

Tra gli aspetti salienti di questa etnia, si annovera l’ossessione per le immolazioni, spesso umane. I prigionieri di guerra erano offerti in sacrificio agli dei, tra i quali spicca il nume nazionale, Huitzilopochtli (d’ora in avanti H.), il cui nome significa “colibrì del Sud”. Questo grazioso volatile era associato ai sacrifici umani, a volte era persino ritratto con il becco tuffato nel sangue della vittima. Oscura è la formazione di tale divinità, abbinata anche alla pioggia: originariamente dovette essere un indistinto nume terrestre, ma poi assurse a “Signore splendente della luce del giorno” ed a ispiratore della guerra. Stando all’interpretazione corrente, sua sorella ed i quattrocento fratelli, simboleggiano la Luna e le stelle, mentre H. è il Sole al principio del suo viaggio quotidiano nel firmamento. [2]

Gli studiosi hanno notato delle analogie tra le vicende dei Mexica e le peripezie degli Ebrei nonché delle affinità tra H. e YHWH. Entrambi i popoli dovettero affrontare lunghe e perigliose peregrinazioni, prima di stabilirsi nella “terra promessa” dal loro dio. Ambedue furono condotti da una divinità volubile ed imperiosa, il cui culto si incentrava sui sacrifici. Giudei ed Aztechi praticavano la circoncisione: è questa la corrispondenza più sbalorditiva.

Scrive Alvarado Tezozomoc: “Secondo quanto narrano gli antichi, quando gli Aztechi vennero da Aztlan non si chiamavano ancora Mexica ma Aztechi e fu dopo quello che abbiamo narrato che presero questo nome. Fu H. a dare loro questo nome. Egli disse loro: ‘Ora voi non dovrete più chiamarvi Aztechi: ora voi siete Mexica.’ Poi dipinse loro le orecchie e diede loro la freccia, l’arco e la reticella e così i Mexica presero benissimo a tirare i dardi verso ciò che vedevano in aria”.

Anche YHWH amava imporre nomi.

I Mexica, che intrapresero la loro migrazione probabilmente nel 1111, avanzavano sotto la guida di quattro capi sacerdoti, i teomamas, termine che significa “portatori del dio”. Diego Duran ci informa: “Essi avevano un idolo, chiamato H., che era portato da quattro custodi al suo servizio; a costoro egli parlava in grande segretezza degli eventi del viaggio, indicando tutto ciò che sarebbe accaduto. Questo idolo era tenuto in tale venerazione che nessuno all’infuori dei quattro custodi osava avvicinarsi ad esso o toccarlo. E lo tenevano in un’arca di canne e fino ad oggi non c’è nessuno che conosca o abbia visto il suo aspetto. E i sacerdoti lo presentavano come un dio, rivelando al suo popolo le leggi che esso avrebbe dovuto seguire ed osservare, indicando le cerimonie ed i riti che dovevano accompagnare le offerte. E questo facevano in ogni luogo in cui montavano l’accampamento, secondo l’uso dei figli d’Israele nel periodo in cui vagavano nel deserto”.

Il pensiero corre alla leggendaria Arca dell’alleanza ed a tutte le ipotesi sulla sua vera funzione…

I resoconti dei cronisti a proposito di tali accadimenti si tingono della loro familiarità con il Vecchio Testamento, ma sono indiscutibili certe coincidenze. H. era prodigo di promesse per la sua nazione che patì spesso la fame, la sete e la mancanza d’abiti. Il dio si esprimeva con solennità: “Io vi dico in verità che vi farò signori e re di tutto quello che c’è nel mondo; e quando voi sarete i padroni, potrete avere un numero infinito di vassalli che vi pagheranno tributi. [...] In verità, questo è il mio compito e per questo sono stato mandato qua.”

Ad Abramo fu prospettato un destino simile con simile gravità.

Come YHWH, H. è severo, facile alla collera e non sopporta che la sua gente dimentichi il compito di dirigersi verso la promised land. Quando i Mexica si stanziarono a Coatepec, trasformata in una sorta di paradiso, dove indulgevano alle voluttà del canto e della danza, irato H. disse ai sacerdoti: “Chi sono coloro che si comportano a modo loro? Sono per caso più potenti di me? Dite loro che, prima di domani, avrò riportato su di loro la mia vendetta, che essi non devono esprimere la loro opinione su ciò che ho deciso e per cui sono stato mandato e che tutto ciò che possono sapere è che soltanto a me essi devono obbedire”.

I capi ribelli furono trovati morti la mattina seguente col cuore strappato.

Come YHWH, H. guida il suo popolo, attraverso la mediazione degli ierofanti. Come YHWH, “risiede” in un’arca ed è un legislatore che incentra la sua attenzione sulle cerimonie, sull’accuratezza delle liturgie. L’erudito Nigel Davies sostiene che siamo al cospetto del fenomeno noto come evemerismo: H. agli inizi fu un comune mortale; in più di una fonte si menziona un capo umano di tal nome, un eroe divenuto poi divinità.

Quale sia la vera genesi di YHWH non è dato sapere: si sa che fu un dio cananeo, forse discendente dal pantheon sumero. Egli, in quel calderone di numi e di genti medio-orientali, si scelse una terra ed una nazione, ma, prima di optare per i Giudei, aveva concentrato i suoi interessi su un’altra etnia. E’ possibile che H. e YHWH siano la stessa divinità attiva in due contesti differenti? Certo, la Palestina ed il Messico sono molto lontani sotto ogni punto di vista, ma a volte le distanze spazio-temporali non sono così rilevanti.

[1] Dubbia è pure l’etimologia di “Mexica”: qualcuno ritiene che derivi da “metl”, cactus d’agave e da “citli”, lepre o anche da “mixtli”, nuvola.

[2] Chiosa Davies: “E’ forse possibile trovare paralleli a tale metamorfosi in altre parti del mondo; in particolare il dio d’Israele, YHWH, che prese vita come una sorta di divinità del vento e delle intemperie per mutarsi solo in un secondo tempo in dio della guerra”.

Antonio Marcianò (Tutti i diritti riservati)


Fonti:

P. Brega, Il popolo degli Aditi: la prima scelta di Yahweh, 2013
Cronica Mexicayotl, scritta in parte da A. Tezozomoc, 1949
N. Davies, Gli Aztechi, Roma, 1973, passim
D. Duran, Historia de las Indias de Nueva Espana y islas de la tierra firme, 1967
Enciclopedia storica, a cura di M. Salvadori, Bologna, 2000, s.v. Precolombiane civiltà
S. Freixedo, Difendiamoci dagli dei, 1993



APOCALISSI ALIENE: il libro

La squola della Gelmini - di Antonio Marcianò - Gemme scolastiche da collezionare

27 luglio, 2013

La legge dell'attrazione (seconda parte)

Leggi qui la prima parte

La “legge dell’attrazione” è un magnete. In parole semplici, il pensiero positivo attrae eventi favorevoli; il pensiero negativo disgrazie. Talora si ha il sentore che sia così, ma è davvero così?

Succede che una serie fausta di accadimenti sia all’improvviso interrotta da una calamità. Più di rado accade che una situazione disperata di botto conosca una risoluzione. Questi repentini cambi sono dipesi da altrettanti mutamenti del pensiero? Per favore, non invochiamo il pensiero inconscio: se è il pensiero inconscio a determinare gli accadimenti, allora codesta “legge” perde ogni valore, in quanto avulsa dall’intenzione e dalla volontà che sono conscie per definizione.

Si può poi continuare a definirla “legge”, quando anche una sola volta essa è smentita? Da un punto di vista epistemologico, no. Semmai potrebbe essere una tendenza, un orientamento in gran parte imponderabile.

Va riconosciuto che in una circostanza la legge in esame funziona. Coloro che scrivono libri sull’argomento e che soprattutto organizzano dispendiosi corsi e seminari sul potere dell’intenzione e compagnia cantando, calamitano verso di sé i metalli... soprattutto l’oro. E’ ovvio che per apprender tecniche efficaci si debbono spendere somme esorbitanti.

Nel Medioevo si soleva ripetere che “gli astri inclinano: non determinano”. E’ solo un patetico stratagemma linguistico. Se ho un piano inclinato, è inevitabile che un oggetto vi scivoli. Più o meno velocemente, secondo il grado dell’inclinazione, ma l’oggetto scivolerà.

Qualcuno obietta, affermando che una catena di accadimenti propizi o infausti si spezza a causa del karma. Che bella obiezione! Molto efficace! Si tenta di sciogliere un nodo concettuale, intrecciando un altro nodo inestricabile. E’ come se si volesse illustrare ad uno studente italiano un complesso teorema in cinese, dopo che non è stato compreso usando la lingua madre.

Altri sostengono che, quando una persona nasce (o rinasce), essa si sceglie un fato che le consentirà di “evolvere”, di “maturare”. Tuttavia davvero può scegliere o qualcuno o qualcosa impone l’opzione? Se rinasce, la scelta è condizionata dal karma, quindi non è libera. Se nasce, essa definisce un tracciato da percorrere di cui, una volta precipitata sulla terra, l’anima non ricorderà alcunché. Da una decisione inconsapevole può scaturire una consapevole azione lungo il proprio cammino?

Non sto disconoscendo l’influsso del pensiero sull’esistenza, ma credo che esso sia confinato nell’interiorità: può aiutare a tollerare la sorte rea, persino a cogliervi un disegno (inventato?). Si può diventare “saggi”, imparando ad attribuire il giusto valore alle cose, ad essere riconoscenti per quanto ci è stato elargito, a collocare l’esperienza umana nei limiti in cui essa è circoscritta. Reputo, invece, che creare il proprio destino con il potere dell’intenzione sia una chimera.

Invano cercheremo nei filosofi classici e moderni, negli artisti una posizione univoca rispetto al problema. Al Suae quisque fortunae faber “Ciascuno è artefice della propria sorte” di Appio claudio Cieco, si oppone il Fata volentes ducunt, nolentes trahunt, “Il destino conduce chi non oppone resistenza, trascina chi si ribella” di Seneca.

Si nota uno sviluppo, pur con alcune “retromarce”: mentre nei pensatori e poeti più antichi prevale il convincimento circa la necessità (emblematico il convincimento di Sofocle), in quelli successivi comincia a delinearsi l’idea del libero arbitrio che culmina con la "condanna ad essere liberi" di Sartre.

Anche il magistero evangelico è lacerato dalla contraddizione. In Matteo 10:30 è scritto: “Quanto a voi, perfino i capelli del vostro capo sono contati”. Luca 12:7 rincalza: “Anzi, perfino i capelli del vostro capo sono tutti contati”. Questi versetti proclamano una chiara visione per cui la vita umana è decisa ab aeterno. Altri passi evangelici, invece, puntano sulla scelta, quindi sulla libera adesione all’insegnamento del Messia.

Non se ne esce: la Provvidenza e la Grazia sono, alla resa dei conti, inconciliabili con il libero arbitrio. Pertanto o si ricorre ai soliti sofismi ed al triplo salto mortale carpiato di certi teologi che provano a salvare capra e cavoli, oppure si nega in modo reciso uno dei due termini con tutte le conseguenze facilmente immaginabili.

Esiste il destino come zoccolo duro che nulla e nessuno può scalfire? Lo vedremo nella prossima parte, considerando il tema del tempo e la questione della “frattura”.

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24 luglio, 2013

Salvator Rosa: le porte della percezione

Salvator Rosa (Napoli, 1615 – Roma 1673) pittore e poeta, è una tra le figure più insigni dell’arte secentesca. Formatosi nella bottega di J. de Ribera, nel 1635 si stabilì a Roma al servizio del cardinale Brancaccio. Qui partecipò alla vita intellettuale della città, divenendo popolarissimo come attore ed ideatore di farse e di spettacoli carnascialeschi. Partito per Firenze (1639 – 1645), vi fu accolto con grandi onori alla corte medicea. In seguito tornò nell’Urbe dove morì.

L’arte del Maestro, dagli esordi nella pittura di battaglia e di paesaggio, cui l’aveva iniziato A. Falcone, maturò poi un cambiamento in senso classicista sotto l’influsso di Testa, Lorrain e Van Swanewelt. Virò quindi verso una concezione “pittoresca”, di taglio “preromantico”. Infine l’artista definì una cifra solenne e nostalgica dell’antico, ricorrendo pure a motivi emblematici come teschi e scheletri. Il repertorio di severi temi mitologici e biblici, sostanziati da ideali moralizzanti, contribuisce a creare nelle sue opere atmosfere cupe e misteriose, di “orrida bellezza”. La raffigurazione della natura, deserta e selvaggia, esalta la solitudine ed i turbamenti dell’uomo. Discusso nel suo tempo, magnificato dalla critica (soprattutto britannica) del secolo XIX e considerato in Italia, fin quasi ai giorni nostri, un precursore della sensibilità romantica (anche per gli aspetti ribelli ed anticonformistici del suo carattere), Rosa esercitò un forte influsso sulla pittura partenopea, sebbene non gli si possano attribuire veri e propri allievi. Il paesaggio e le rappresentazioni di combattimenti furono i soggetti che più spesso furono imitati.

Al soggiorno fiorentino del pittore risale il capolavoro “Le tentazioni di Sant’Antonio” (Firenze, Galleria palatina di Palazzo Pitti). E’ un’opera che incarna l’ispirazione visionaria di Rosa. L’anacoreta egiziano è raffigurato in atto di brandire il crocifisso per stornare da sé delle creature terrifiche. Queste, emerse da uno scenario fosco e plumbeo, incombono sull’eremita appiattito sul giaciglio e sono quasi sul punto di ghermirlo. [1]

Nulla di mistico né di austero in questo vegliardo che, distolto dalla meditazione, si rotola e si torce all’assalto di iperbolici mostri che, partoriti dalle elucubrazioni medievali, ma poi confinati nell’iconografia nordica, di là tornano a sostituire la bella donna cui la tradizione nostrana affida volentieri il compito di rappresentare in sé tutte le tentazioni. Nessuno spirito religioso e nessuna seducente nudità, ma incubo notturno, pauroso, ossessivo: una di quelle ‘stregonerie’ delle quali il Rosa ebbe a compiacersi e che furono ambitissime dagli amatori”. (G. V. Castelnovi)

La possente, bizzarra fantasia di Rosa è all’origine della spaventevole allucinazione né difettavano gli antecedenti iconografici per la pittura delle macabre entità che assediano il santo. Il gusto barocco per l’eccentrico ed il cupo contribuiscono all’orrida visione. Nondimeno s'intravede forse in questo quadro stravagante l’impronta di una percezione di là dalle parvenze: così il demonio ossuto che, in primo piano sovrasta l’asceta, pare davvero essere uscito da una plaga infernale, da un mondo popolato di esseri malefici. La testa rostrata, dagli occhi corruschi, l’orrido collo arcuato, gli arti magri e nervosi, tesi sino allo spasmo nell’approssimarsi dello scatto letale, evocano simili figure che brulicano nelle avventate escursioni spiritiche e persino in certi resoconti xenologici.

Un’analogia (fortuita?) ci conduce, oltre che all’immaginario cinematografico degli alieni scottiani, al gigante del più che controverso caso materializzatosi in quel di Mortegliano.

L’immaginazione come finestra sull’ignoto.

[1] Una copia del quadro è custodita nella Pinacoteca Rambaldi di Coldirodi (Sanremo). E’ una riproduzione che, per quanto più sommaria nell’esecuzione rispetto all’originale, è di fattura decorosa.

Fonti:

AA. VV., La raccolta Rambaldi a Coldirodi, Sanremo, 2012
A. Chiumento, La creatura di Mortegliano, 2013
Enciclopedia dell’Arte, Milano, 2005, s.v. Rosa Salvatore


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20 luglio, 2013

Panneggi

E’ noto che Leonardo da Vinci amava dipingere i panneggi delle vesti: essi consentivano al genio rinascimentale di suggerire la tridimensionalità e la naturalezza. L’ombra indugia nell’incavo, scava le cose; la luce scivola sulla parte rilevata: ora il contrasto ora la gradazione fra lumeggiature ed ombreggiature rendono l’illusione della profondità, come fallace conferma che “là fuori” esiste qualcosa, uno spazio in cui abitare.

Dipingere, disegnare significano conoscere. Ha ragione Elemire Zolla, quando consiglia di effigiare gli oggetti al fine di comprenderli, di compenetrarli. Mentre si ritrae la natura o un altro soggetto, si scoprono i loro particolari che talora sfuggono anche all’osservazione più attenta. Ad esempio, non solo si riconosce che le spirali delle conchiglie rispecchiano gli avvolgimenti delle galassie, ma pure si rintracciano volute sulla buccia di molti frutti. Parimenti i fiori sono piccoli sistemi stellari. Tra l’altro, il movimento levogiro, il moto della vita, accomuna i corpi celesti e le piante.

Così un filo invisibile intesse l’infinitamente grande e l’infinitamente piccolo, dagli spazi siderali agli atomi, lasciando affiorare una segreta armonia. E’ questa armonia che gli artisti cercano di tradurre in immagini, suoni, colori... Resta da capire come essa possa coesistere con le aspre, violente dissonanze del cosmo. Resta da capire il suo vero significato di là dalla pelle delle cose.

I Maestri, quando trasfigurano la realtà, possono solo accennarne l’essenza enigmatica, imperscrutabile.

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16 luglio, 2013

La legge dell’attrazione (prima parte)

La cosiddetta “legge dell’attrazione” implica che ciascuno di noi attira gli eventi che costellano la sua vita. In modo inconscio si trascinerebbero verso di sé situazioni favorevoli o dannose, provocando poi una sorta di “effetto domino”. E’ ovvio che tale idea investe dei problemi filosofici di formidabile complessità. Cercheremo, però, di analizzarla, per quanto possibile in modo semplice. La divisione della disamina in parti piuttosto brevi dovrebbe agevolare la comprensione.

In primo luogo osserviamo che la succitata “legge” presuppone che A (il soggetto) intervenga in qualche modo su B (gli accadimenti). E’ significativo che tale intervento non sia sugli oggetti, sulla materia, ma appunto sugli avvenimenti: siamo nell’ambito di una visione che manifesta, in una sua sfaccettatura, una vaga somiglianza con il pensiero del primo Wittgenstein. Secondo il filosofo austriaco, infatti, il mondo è la totalità dei fatti (“Il mondo è ciò che accade”, "Tractatus logico-philosophicus"), una concatenazione di stati di cose in connessioni immediate, di fatti che succedono uno indipendentemente dall’altro.

Purtroppo, come spesso avviene con le idee che bollono nel pentolone della New age, il presupposto indicato è sùbito confuso con un altro assunto: il pensiero ha la possibilità di creare. Si propone il seguente esempio: esisterebbe un capolavoro, prescindendo dall’idea di un artista? Ovviamente no. Proviamo ad immaginare i meravigliosi affreschi della Cappella Sistina, assente l’ispirazione di Michelangelo. È naturale che senza la potente fantasia del genio, senza il suo disegno intellettuale, le pareti della Sistina non sarebbero abbellite dall’eccelsa opera. Ci si chiede, però, se potremmo ammirare il masterpiece, se Michelangelo non avesse potuto usare i pigmenti dei colori, i pennelli e la sua stessa mano? Ora, si può prescindere dalla materia, se si intende dare vita a qualcosa? [1]

E’ evidente che l’affermazione “l’idea crea” è una colossale, spaventosa sciocchezza, se non la integriamo nel modo seguente: “L’idea crea, ma con la mediazione della materia o comunque di un quid che rende percepibile il concetto”. Diversamente si resta irretiti nelle istruttive contraddizioni e nei fallimenti dell’arte concettuale (si pensi soprattutto a Joseph Kosuth) che tenta di concettualizzare l’espressione estetica, di sbarazzarsi della “cosa”, senza mai riuscirvi del tutto. La “cosa” (il substrato del significante o il riferimento al significato), espulsa dalla porta, rientra dalla finestra ora come supporto cartaceo di una fotografia ora come manufatto (la sedia di “Una e tre sedie”). Dell’impossibilità di annullare l’oggetto, è consapevole Marcel Duchamp che, quando decide di azzerare la “cosa”, rinuncia in toto all’arte per dedicarsi al gioco degli scacchi.

In altre parole, l’idea sorgerà pure dal nulla, ma senza il concorso di qualcosa (la si chiami materia, oggetto, entità fisica, elemento corporeo etc.), comunque si intenda quel “qualcosa”, anche l’idea più sublime coinciderà con il nulla.

Sfido chicchessia a produrre un testo lato sensu, senza ricorrere ad alcunché di materiale ed esterno: una penna, la tastiera di un computer, una tavolozza con le tempere, il marmo, uno strumento musicale...

[1] Qui non indugiamo su che cosa sia veramente la materia, perché è argomento cui abbiamo già dedicato molti articoli cui rinviamo. Si legga almeno “Che cos’è la ‘cosa’?”, 2010. Si può rammentare che gli scienziati la giudicano equivalente all’energia, secondo la formula di Olinto De Pretto (poi plagiata e modificata da Einstein), E=mv2, ossia l’energia è uguale alla massa per la velocità della luce al quadrato. In verità, nessuno ha mai davvero compreso che cosa sia non solo la res cogitans ma pure la res extensa. Ci si deve accontentare di ipotesi, di teorie, giacché l’essenza del reale è in sé inconoscibile.


Leggi qui la seconda parte.

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La squola della Gelmini - di Antonio Marcianò - Gemme scolastiche da collezionare

13 luglio, 2013

Black sun (terza ed ultima parte)

Leggi qui la prima parte

Schwarze Sonne

In alcune culture antiche, ad esempio egizia, il Sole era nero, poiché era assimilato ad una pupilla, talora ad un abisso. Le acque del Sole riflettevano il fuoco che tutto permea ed il riverbero del fuoco era la luce. L’astro era concepito come un oggetto celeste mosso da forze misteriose, di volta in volta immaginate come animali potenti e temuti. Per gli Egizi il Sole era il nume Ra che la scuola teologica di Eliopoli identificava con il dio primordiale Atum. Il nome Atum dovrebbe derivare dal verbo “tem” che significa “non essere”: il buio ed il nero (non colore, come il bianco) ben si addicono ad un dio del caos primordiale, del nulla prima dell’essere.

Il Sole nero è pure un tema centrale nella cultura segreta del Nazionalsocialismo: qui la cosmologia si sposa con concezioni esoteriche, attinte ad una sapienza ancestrale. Aiwass 418, in un controverso e temerario articolo, esamina la questione. Riporto le parti salienti della ricerca che trova delle convergenze con quanto esposto nel testo “Dagli U.F.O. nazionalsocialisti a H.A.A.R.P”, precisando che per Sole nero si intende in questo filone il buco nero al centro della nostra galassia.

“Sono state rilasciate di recente dichiarazioni da ex ricercatori del Dipartimento segreto di Psicotronica del K.G.B. o G.R.U. che, nel dopoguerra, ebbero accesso agli archivi segreti della Ahnenerbe di Himmler. Negli archivi furono trovati dati riguardanti la spedizione tedesca in Antartide compiuta nel 1938-1939. Tali dichiarazioni indicano una possibile minaccia per opera di forze esterne al pianeta, civiltà extraterrestri fortemente interessate ad impedire indagini e sperimentazioni degli scienziati terrestri nel campo dell’energia del 'vuoto' (nota anche come Z.P.E., ossia energia del punto zero, n.d.r.). [...]

Secondo queste dichiarazioni, è in corso una contesa per il dominio dell’Organo intelligente centrale della Galassia: il gigantesco buco nero nel centro galattico spiroidale. [...] L’immagine simbolica del Sole nero fu effigiata, sul pavimento della sala di meditazione nel Castello di Wewelsburg in Germania, il quartier generale della Ahnenerbe.

La civiltà che avesse detenuto il controllo del Sole nero sarebbe stata in grado di far esplodere stelle, frantumare pianeti e/o popolarli con razze di sua scelta, ovvero sarebbe divenuta la padrona incontrastata della Via Lattea. Secondo alcune fonti, il controllo del Sole nero potrebbe essere esercitato attraverso una sua 'modificazione', inviando un 'virus' di trasformazione del 'vuoto', attraverso l’ipertunnel spazio-temporale situato al Polo Sud che ora, secondo la stampa russa, è studiato ed esplorato dal Pentagono. In pratica si tratterebbe di usare i campi di torsione, ossia 'vortici di energia' più veloci della luce.

Secondo talune teorie scientifiche, i buchi neri non sarebbero gli oggetti cosmici descritti dall’astronomia ufficiale, ma contenitori di informazioni registrate come 'superstringhe di frattali spiroidali' (Mathur, Ohio University). Queste spirali possono emettere le così dette 'onde di torsione' che, diffondendosi più rapide della luce, non possono essere fermate dal campo gravitazionale del buco nero.

Il Dottor J. Milewski di Albuquerque ha ipotizzato che la rete di comunicazione cosmica di questi campi diriga e controlli i processi evolutivi della vita cosmica. Egli ha scoperto, per mezzo di rilevatori a fibre ultrafini, la capacità di tali campi di interagire direttamente con i ritmi del D.N.A.

Iniziati ai misteri di civiltà antiche come quella dell’Egitto, dei Maya, dell’India, del Tibet, le cui dottrine occulte prestano molta attenzione al concetto ed al ruolo del Sole nero, concepito come una Matrice cosmica (definita 'Utero di Iside' dagli Egizi e 'Madre del mondo' negli insegnamenti di Roerich) in grado di accelerare e sincronizzare i processi evolutivi di distinte civiltà planetarie. [1]

In un articolo firmato da K. I., pubblicato sul periodico russo 'Anomaly', l’autore asserisce che nei registri segreti della Ahnenerbe, erano contenuti accenni ad una missione germanica organizzata sotto l’egida dei Maestri di Shamballa. Si intendeva impedire possibili attacchi alla Terra per opera di civiltà extraterrestri, generando delle onde di torsione. [...]

L’articolo di 'Anomaly' afferma che, nel novembre del 1975, quando la Terra, il Sole, la Luna e il Sole Nero furono allineati in modo particolare (?), i Maestri di Shamballa trasmisero attraverso lo stargate del Polo Sud, un ‘messaggio retroattivo’ al Centro galattico, al fine di risalire ad un tempo di miliardi di anni fa, quando una ‘Galassia bambina’ non aveva ancora sviluppato quei formidabili meccanismi di difesa immunitaria che possiede ora. [...]

Sarebbero stati approntati sistemi di difesa da un presidio tedesco-ucraino per respingere, curvando lo spazio-tempo, anche i più forti attacchi sferrati da alieni ostili (ad esempio, la deviazione sul pianeta di asteroidi).

L’esistenza del Reich antartico, se reale, rimane un mistero celato, come il portale del Polo Sud e la minaccia di esseri allotri che mirerebbero a controllare lo spaventoso potere del Sole Nero. [...] E’ una realtà che supera la più fervida immaginazione. [...] Il Sole nero arde nelle viscere, alla radice della vita, come l’urlo della Madre terribile che divora i suoi figli nell’apoteosi del suo feroce, perfetto, immacolato ed implacabile Amore”.

Che cosa pensare di questa audace, fantastica ricostruzione? Ognuno la giudichi come meglio crede. E’ comunque probabile che il cuore della Via Lattea sia qualcosa di più e di diverso rispetto alle acquisizioni della cosmologia ufficiale. D’altronde anche uno scienziato accademico come Paul La Violette, indica il centro della Galassia come il luogo da cui circa 12.000 anni or sono provenne una micidiale onda energetica che fu la causa del Diluvio universale. Osservano La Violette ed altri che il dardo del Sagittario e l’aculeo dello Scorpione puntano verso il fulcro della Galassia, come se antichi mitografi avessero voluto indicarlo come il “mozzo” di una ruota spaziale, il cuore pulsante del nostro universo.

Forse non hanno torto quegli autori e non sono lungi dal vero quelle venerande tradizioni che vedono nelle dolorose vicende dell’umanità l’ombra di un conflitto di proporzioni cosmiche. E’ un’ombra nera ormai del tutto indistinguibile dal nero della notte… l’ultima.

[1] Non senza ragione in tedesco e in qualche altra lingua, Sole è sostantivo di genere femminile.

Addenda. Gli emblemi e le grafie aliene sono un soggetto di nicchia all’interno di un disciplina già marginale, quale l’Ufologia. Sul tema si legga A. Marcianò, Scritture e simboli alieni, F. Vanetti, Christain Macé e la scrittura degli Alieni, 2012. Qualche informazione si rintraccia pure nell’accurato e voluminoso saggio di M. Tambellini, U.F.O. e alieni in Italia, Roma, 2012. In particolare Tambellini, nel suo repertorio, accenna al caso di Croara (Bologna): il testimone vide all’interno di un’astronave un triangolo col vertice in alto al cui interno era inscritto il pianeta Terra sul quale erano intrecciati due fiori (rose?). E’ l’immagine grafica che maggiormente ricorda i simboli scorti dai contattisti argentini, per quanto concerne l’Italia.

Fonti:

Aiwass418, Il Sole nero
Dizionario di Astronomia e Cosmologia, a cura di John Gribbin, Milano, 2005, s.v. buchi bianchi
G. Conforto, Possiamo vincere la gravità?, 2012
L. Flotta e E. Grosso, Il Sole è nero, in X Times, n. 56, giugno 2013
Grande enciclopedia illustrata dell’antico Egitto, Novara, 2005, s.v. Atum, Sole, Ra
A. Marcianò, Apocalissi aliene, 2007
Redazione di Segni dal cielo, Il Sole è un grande stargate, 2013
Redazione di Tanker enemy, Segnalazioni di giugno, 2013


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10 luglio, 2013

Politica e meta-politica

L’attuale, rovente situazione in Egitto spinge molti ad interrogarsi a proposito di come evolverà la situazione politica nello scacchiere del Medio - oriente, con le inevitabili, ferali ripercussioni sul contesto internazionale. Ora, premesso che nessuno può sapere quali siano i veri giochi di potere su cui si può solo astrologare, è errato pure credere che sia in corso una lotta tra il bene ed il male. La detronizzazione di Morsi, che ha dovuto demordere, è stato uno smacco per gli Stati Uniti, sostenitori dei Fratelli musulmani, sebbene anche nell’opposizione molti siano i filo-occidentali. Tuttavia pensare che i militari traghetteranno l’Egitto verso la “democrazia” denota immensa ingenuità. La “politica” è il regno della violenza e dell’ipocrisia: rileggere Machiavelli ogni tanto potrebbe giovare. Il male minore causa sempre massimo orrore.

Il caos egiziano è molto istruttivo. In primo luogo ci insegna che poco importa chi ottenga e detenga il potere, poiché il popolo passa solo dalla padella nella brace o viceversa, in un’altalena infinita. Inoltre comprendiamo che non possono essere gli uomini a salvare l’umanità: le classi “dirigenti”, o per manifesta incapacità e/o perché pilotate da potentati occulti, agiscono sempre contro gli interessi della collettività. L’integralismo islamico è deplorevole, come qualsiasi fondamentalismo, ma l’egemonia dell’esercito non è un optimum, specialmente se i militari esacerberanno gli animi con la repressione e provvedimenti coercitivi, forieri di ulteriori tumulti. Non sarà poi l’aeronautica egiziana a coordinare le operazioni di Biogeoingegneria nella terra dei Faraoni, il cui cielo è senza dubbio chimico? [1]

Evitare di schierarsi in modo manicheo è sempre consigliabile. Tra l’altro i dissesti sociali ed i tracolli economici, spontanei o programmati che siano, sono considerati utili dalle élites sataniste. Se i cittadini ne avessero coscienza, eviterebbero di sostenere in modo partigiano uno o l’altro movimento o fazione o partito, sapendo che ai vertici sono tutti uguali e tutti d’accordo nella spartizione di denaro e privilegi, offerti loro da chi agisce dietro le quinte.

E’ necessario dunque evitare di concentrare la propria attenzione su questa sorta di teatro kabuki, che è la prassi dei governi a livello nazionale ed internazionale, per provare a cogliere le dinamiche interne e segrete sottese agli eventi. In poche parole, è necessario valicare i confini della politica, la cui disamina delle componenti socio-economiche e strategiche non è del tutto inesatta né inefficace, ma parziale e talora angusta, per gettare uno sguardo nell’area off limits della meta-politica.

Così, solo per portare un paio di esempi, ho letto con piacere un recente articolo del Professor Francesco Lamendola che ha denunciato il servilismo dei cialtroni italiani nei confronti di Sion, in un pamphlet intitolato “Riti d’iniziazione e riti di umiliazione”. Tuttavia siamo ancora nell’àmbito di una concezione politica, per quanto lucidissima e tagliente. E’ doveroso salire un altro gradino, ricordando che la patetica adulazione dei quaquaraqua italioti e stranieri si esercita nei confronti dei Sionisti come nei rispetti dei papi. I Khazari sono pur sempre dei camerieri, anche se molto influenti: i Rothschild da secoli amministrano il fantastico patrimonio del Vaticano. Il criminale Henry Kissinger è stato consigliere personale di Benedetto XVI!

Suscita perciò altrettanto disgusto vedere il pellegrinaggio dei “nostri” rappresentanti da papa Bergoglio da cui probabilmente prendono ordini o con il quale concertano strategie per attuare i loro diabolici piani di dominio planetario. Vedere Napo orso capo ed il cattolicissimo Enrico Letta che sono ricevuti dal pontefice di turno, fra salamelecchi, baci e strette di mano massoniche, è una laida testimonianza di piaggeria, di vile, umiliante sottomissione.

Un breve excursus su papa Francesco: colui si è rivelato un bluff, come era stato predetto da alcuni analisti. Dietro i suoi discorsi deamicisiani e demagogici, si nasconde un marpione, protagonista, da buon Gesuita, delle trame mondialiste tese all’instaurazione di uno stato ecumenico di stampo totalitario.

Saliamo ora qualche altro gradino ed apprezzeremo l’articolo “Parole nel vuoto”, scritto dal curatore di Freeskies. Qui si squaderna una trasparente, rivelatrice, epifanica visione meta-politica. E’ uno sguardo profondissimo oltre le apparenze, di là dalle cronache ufficiali ed oltre pure le indagini più scaltrite. E’ naturale che un affresco così preciso e simile ad un quadro iperrealista: provoca nell’osservatore perplessità e persino ribrezzo di fronte ad una realtà esibita con tanta cruda, impietosa esattezza. Eppure, dopo aver letto questo studio, una persona dotata di discernimento dovrà commentare come lo scrittore André Gide, dopo che ebbe completato “Il mondo come volontà e rappresentazione” di Schopenauer: “E’ proprio così!”.

Vero è che il disegno tracciato è ritenuto dai più inverosimile, anzi impossibile. Chi potrà mai accettare la pazza idea che l’umanità sia il bestiame degli Altri e la storia un immenso, millenario inganno? Chi potrà mai vedere nel Transumanesimo il passo fatale verso l’ultima mutazione antropologica? Ecco la ragione dello sconsolato titolo “Parole nel vuoto”.

Non siamo neanche più le voci di coloro che gridano nel deserto, ma gli echi fievolissimi di quelle voci, ormai quasi impercettibili.

Articoli correlati:

Tanker Enemy, Il progetto LOFAR ed il C.I.C.A.P., 2012
F. Lamendola, Riti d'iniziazione e riti di umiliazione, 2013
Freeskies, Parole nel vuoto, 2013


[1] La “Politeia” di Platone e la stessa vita del filosofo greco dimostrano quanto sia arduo delineare un sistema politico efficiente ed equo. Le idee collidono con le circostanze concrete, le teorie, anche quelle più nobili, o sfociano in pericolose utopie o cozzano con un’umanità che rispecchia e spesso moltiplica i difetti dei ceti dirigenti. La società pare ingovernabile, anche quando è inquadrata – ed è oggi la situazione più diffusa – nei plotoni dello stato-Leviatano.

Che il popolo, chiunque governi, è sempre vessato è intuizione di uno scrittore “minore” come Fedro. Fedro vale più di tanti “esperti” di politica, economia, società etc.? Sì.

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La squola della Gelmini - di Antonio Marcianò - Gemme scolastiche da collezionare

07 luglio, 2013

I negatori del male e la condizione umana

L’ambiguità del reale è siffatta che il Bene stesso può generare il Male.” (F. Schelling)

E’ estenuante il dibattito con gli assertori della “verità”: estenuante ed inutile. Ora, mi chiedo come sia possibile essere sicuri di possedere verità ontologiche (non empiriche) per dispensarle ai profani. Come spesso avviene, la pietra d’inciampo è il problema del male.

I dogmatici, per avere ragione in modo definitivo, invece di ricorrere ai funambolismi dei teologi, che tentano di spiegare il mysterium iniquitatis, scivolando in conclusioni più insanabili delle già antinomiche premesse, negano il male tout court. E’ uno stratagemma molto efficace, ma pur sempre uno stratagemma.

Se si obietta che resta comunque una dose di male che pare assurdo, inesplicabile, i negatori ti rispondono, con Leibniz e Pangloss che “tutto è perfetto così com’è”. “Viviamo nel migliore dei mondi possibili”. Tali asserzioni sono postulati che non abbisognano di alcuna dimostrazione. Il male è solo il frutto di una visione limitata e soggettiva. Sarà... Se si propone l’esempio di un bambino ucciso, dopo essere stato seviziato magari per anni, coloro replicano nel modo seguente: in primo luogo quel bambino ha deciso di nascere per maturare un’istruttiva esperienza che prevedeva la sua morte dopo una lunga tortura. Inoltre essi affermano che il male incarnato in tale vissuto è del tutto illusorio, più inconsistente di un’ombra.

Ora, è anche possibile, in linea teorica, che costoro abbiano ragione: la realtà è così irrazionale che il male stesso potrebbe essere giustificato con argomenti così irragionevoli. Quanto contesto in modo reciso è l’atteggiamento dogmatico, apodittico, categorico dei negatori: essi non propongono il loro pensiero come un’eventuale risposta, ma come la RISPOSTA. Questo è oltremodo irritante nonché una bestemmia nei confronti degli esseri viventi tutti che soffrono pene indicibili sia fisiche sia morali. Onestà intellettuale vorrebbe che, al cospetto delle più atroci manifestazioni del male, si sospendesse il giudizio o si ventilassero delle ipotesi. Onestà intellettuale vorrebbe si evitasse di addurre come prova di quanto bandito il Pensiero tradizionale che viene piegato (e stuprato) per sentenziare e persino per giudicare.[1]

I seguaci di Plotino, di Agostino, di Leibniz etc. sostengono che il male è non-essere, assenza di Bene, essendo privo di sostanza. Lo ripeto: potrebbe essere così, ma, mentre i filosofi citati, se non altro, inquadrano la loro interpretazione in una dottrina filosofica, chi ne ha solo orecchiato le idee manca del tutto dell’inclinazione a definire un disegno coerente, semmai impastando un po’ di pseudo-concetti della New age più becera.

Prova ne è la gigantesca incongruenza in cui si impastoiano. I negatori del male sono nel contempo propugnatori del libero arbitrio, quindi dell’etica. Se, però, tutto è armonico, tutto è solo come dev’essere, allora tutto è lecito: non intercorre alcuna differenza tra una carneficina ed il salvataggio di mille vite. Sono due azioni del tutto intercambiabili, poiché ambedue consentono di maturare esperienze e di “evolvere”. Del tutto intercambiabili sono anche un criminale ed un benefattore.[2]

Per carità, sono il primo a vedere nella morale il preludio del moralismo. Sono il primo anche a propendere per la fallacia circa il convincimento del “libero arbitrio”, simpatizzando, invece, per una concezione fatalista. Tuttavia le mie sono mere congetture o, al limite, intuizioni: so che non possono né potranno mai essere avvalorate in modo definitivo né d’altro canto confutate. Ammetto pure che non è per nulla facile dirimere certe controversie, preferendo il dubbio umano ad una “verità” sacerdotale.

Sentirei di accostarmi, come ho già scritto, a quelle concezioni, secondo cui il mysterium iniquitatis è inerente alla creazione (o emanazione stessa): questa idea, prima di essere gnostica, è in Anassimandro.[3] Riconosco che non è non il non plus ultra come chiarimento, ma è sempre meglio sia delle consolatorie delucidazioni New age sia dell’esegesi ebraico-cristiana-musulmana, secondo cui il male sarebbe dovuto ad una scelta di Adamo ed Eva. I progenitori avrebbero violato un precetto divino, quando ancora il male non era entrato nel mondo. Da dove spunta poi il Serpente tentatore? Lo creò Dio? Se è così, nell'Eterno alberga un lato oscuro? Il Signore non sapeva, nella sua onniscienza, che Eva avrebbe ceduto alle lusinghe del Serpente? Etc. Insomma lasciamo tali quesiti a chi si appoggia alla Bibbia con le stampelle di traduzioni approssimative.

Essere umani significa riconoscere che talune questioni non possono essere del tutto intese. I dogmatici sono l’antitesi dell’umanità, poiché si reputano, con immensa superbia, eguali a Dio stesso, di cui conoscono ed interpretano intenzioni, fini, persino i più reconditi pensieri. La condizione umana è, invece, insufficienza ed incompletezza: altrimenti non sarebbe una condizione propriamente umana, nel bene e... nel male.

[1] La Philosophia perennis è strumentalizzata per divulgare ed imporre storte nozioni della New age deteriore.

[2] Non è naturalmente l’unica incoerenza in cui annegano. Comunque che noia, che nausea questa “perfezione”, questa acquiescenza all’esistente… un sedativo per la coscienza, un elisir narcotizzante che dona una felicità da moribondi.

[3] Il mito cosmogonico di Purusha (RigVeda), l’Uomo primordiale che si smembra e si sacrifica nella Manifestazione, non è forse così distante. Questo mito non presuppone che fine del cosmo e delle creature sia evolvere, attraverso l’esperienza dei patimenti: infatti vede la creazione in sé come sacrificio, come disarticolazione rispetto ad un’unità originaria. Il fine non è dunque l’evoluzione, ma il ritorno ad uno stato primigenio. La sofferenza non è tanto un mezzo, quanto un aspetto necessario dell’universo. La scelta compiuta dagli esseri tutti (inclusi i minerali) di scendere nel mondo materiale è inevitabile (fatalismo?), perché è l’unico modo per risalire, per tornare alla Sorgente da dove Purusha si è allontanato. Il motivo di questo distacco non è per nulla chiaro. Il mito di Purusha, oltre a contenere un dualismo che ricorda quello cartesiano tra res cogitans e res extensa, definisce una situazione circolare, oziosa e tautologica. Per dirla con Leopardi: “Tutte le cose si muovono per tornare infine nel luogo donde si son mosse”.

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04 luglio, 2013

Into darkness

Era difficile oltrepassare le brutture del primo episodio appartenente alla saga rifatta e stracotta di "Star Trek", eppure il capocomico ed i guitti della pellicola "Into darkness" ci sono riusciti in pieno. Questo non è cinema naturalmente - non si può definire cinema una specie di infantile videogioco – ma non è neppure narrazione.

Il regista, J. J. Abrams, e gli sceneggiatori insultano la residua intelligenza del pubblico con questa cosa sconclusionata ed enfatica, dalla “trama torbida, che è tanto sciocca quanto arbitraria”(Lumenick). Gli scalcinati attori cercano di scimmiottare i personaggi di Star Trek - prima serie, esibendosi in gigionesche performances. Il peggiore è proprio il glaucopide Chris Pine, un “veramente falso” dell’inimitabile capitano James Kirk-William Shatner. Pine e gli altri mestieranti credono di esseri intensi, perché corrugano la fronte e guardano vitrei nella camera. La sceneggiatura è tanto vuota quanto reboante, la recitazione spiaccicata, la colonna sonora barocca.

Succede di tutto ed alla fine non accade niente in questo “Into darkness” e lo schifo nel vederlo non dipende solo dalla puerilità dei colpi di scena, dalla banalità con cui è ostentata la violenza. J.J. Abrams e i suoi cosceneggiatori sanno solo far zampettare delle marionette, cercando di riempire il vuoto pneumatico delle idee con una gragnola di effetti speciali.

Film più pericoloso che inutile, “Into darkness” è un’operazione ideologica tipicamente hollywoodiana volta ad incensare gli “eroi” che, sotto strati di viscido cerone, sono i soliti Yankees in versione ciurma dell'“Enterprise”. L'astronave per giunta genera "scie di condensazione", anche quando attraversa gli spazi siderali.

Non mancano i messaggi obliqui (neanche tanto): i nostri paladini si battono contro il “terrorismo”. Velate, ma non troppo, le allusioni alla campagna pubblicitaria post 11 settembre con il suo volgare e sfacciato stravolgimento della realtà: i veri terroristi (George Bush jr e tutti gli altri) accusano degli innocenti di aver distrutto le Torri gemelle, trovando così il pretesto per scatenare l’inferno sulla terra. A questa lurida mistificazione contribuisce la pellicola di Abrams con l’aggravante che strizza l’occhio, tramite le sue avventure fumettistiche, agli spettatori giovani e giovanissimi, più esposti al lavaggio del cervello dei media.

Tra un dialogo smozzicato e l’altro, tra una scena pulp e l’altra, viene incastrato pure un cenno a Nibiru... Polpettone indigesto, chewing gum al finto gusto di fragola, bambola gonfiabile... : questo e molto peggio è “Into darkness”, espressione di un cinema turgido e falso, come le labbra siliconate di una prostituta di basso bordo.

La propaganda ha sostituito il cinema... anzi l'ha prostituito.

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01 luglio, 2013

Sguardo cieco

E’ un habitus dell’uomo occidentale, un “rito” che germogliò nella perfida Albione alla fine del XVIII secolo per poi attecchire altrove: la lettura del quotidiano. Quanti ai tavolini delle mescite già al mattino presto o in ufficio davanti allo schermo del computer sprofondano nelle pagine, cartacee o elettroniche che siano, per “informarsi”!

La storia è scaduta nella cronaca, il fatto nel bozzetto, la cultura evaporata nelle notizie verosimili, distorte, false. Che cosa troveranno coloro di tanto interessante o utile nelle gazzette? Da ogni foglio, da ogni sillaba trasudano ignoranza, frode, noia, una noia infinita: anche il male ormai ha esaurito i dardi nel suo turcasso. Nulla più sembra salvarsi: tranche de mort sulle carneficine catodiche, astrusità di pseudo-intellettuali, il diluvio delle cronache sportive… e naufragar m’è vomitevole in questo mare.

E’ molto più avvincente osservare una crepa nell’intonaco o la vena di una foglia, persino un graffio su una carrozzeria… Mondi sterminati ed abissali si celano dietro le apparenze più ordinarie. Il nocciolo della realtà è incluso nella scorza spessa e scabra dell’istante.

Dove finisce quello sguardo cieco che cerca qualcosa nelle tenebre di un universo destituito di senso e di una traiettoria purchessia? Abbiamo occhi solo per frugare il nulla, per esplorare l’assurdo.

Che cosa apprenderanno i lettori dalla monocorde lettura dei quotidiani? I rudimenti della lingua italiana forse? Qualche detrito di verità?

In una società dissacrata e dissacrante dove la massa vegeta, si iterano ormai solo vuoti riti, del tutto indistinguibili dalla routine.

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