27 gennaio, 2015

Massoni: società a responsabilità illimitata. La scoperta delle Ur-lodges

Si intitola “Massoni, società a responsabilità illimitata: la scoperta delle Ur-lodges” il corposo saggio scritto da Gioele Magaldi con la collaborazione di Laura Maragnani. Scrivere una recensione del volume è impresa ardua, poiché esso solleva molti e rilevanti problemi connessi all’interpretazione della Storia: solo per sfiorare certe questioni, sarebbero necessarie lunghissime disamine. Perciò ci limiteremo a poche, rapsodiche considerazioni comunque utili per un eventuale dibattito.

In primo luogo, inquadreremmo il testo in oggetto nella meta-storiografia. Per meta-storiografia, intendiamo la ricerca che non si accontenta di investigare le cause occasionali e recenti, di evidenziare i nessi e gli eventi principali, basandosi per lo più sulle ricostruzioni accademiche. E’ un’indagine che si addentra negli arcana imperii. Oltre la meta-storiografia situiamo la cripto-storiografia, l’esplorazione delle energie, per così dire, endogene, da cui dipendono gli eventi cruciali. E’ questo un ambito, però, che esula dai fini di questo discorso.

In estrema sintesi: l’autore squaderna uno scenario in cui alcuni centri di potere, di natura trasversale, anche in lotta fra loro, egemonizzano ampi settori politici e socio-economici del pianeta. Le decisioni epocali sono prese nel back office, per usare un sintagma caro a Magaldi. Questa visione ha irritato chi crede (s’illude?) che la storia umana sia fondamentalmente agìta dai popoli, dai partiti, dai movimenti, almeno nei paesi “democratici”. Non si rinuncia con facilità all’idea delle nazioni che decidono il proprio destino perseguendo alti ideali. E’ un’idea nobile, romantica; la realtà pare molto diversa.

I detrattori del libro criticano il Nostro, perché non ha pubblicato le fonti dirette della sua ricostruzione. Abbiamo già affrontato lo spinoso tema della documentazione in un articolo cui rinviamo e dove deploravamo il feticismo delle fonti. Qui ci limitiamo a constatare che la fonte per eccellenza dello storiografo è l’insieme degli accadimenti: il termine “storia” deriva dal greco historìa che risale a hìstor, testimone oculare. Orbene, Magaldi è testimone e conoscitore diretto di avvenimenti che riesce a collocare in un disegno interpretativo nel complesso convincente, con i fatti che s’incastrano quasi sempre nell’esegesi e viceversa. Gli eventi sono le fondamenta del suo edificio e valgono più di mille testimonianze, soprattutto se le testimonianze sono spurie e fittizie come quelle della “storiografia” di regime.[1]

Magaldi tende a radiografare strutture gerarchiche, sebbene non rigidamente piramidali. E’ uno scacchiere policentrico con apparati cospicui, ma non onnipotenti: i gruppi di potere ora incontrano resistenze, rivalità, ora si dislocano attraverso cambiamenti di campo, alleanze, accordi segreti… E’ un gigantesco Risiko dove - ed è questo l’aspetto saliente del testo – entrano in gioco anche forze positive. Sono logge che subirono, però, un colpo micidiale con l’omicidio di John Fitzgerald Kennedy nel 1963. Da quel fatidico anno i settori che avversano le officine ultrareazionarie, sarebbero costrette sulla difensiva. Non possiamo né smentire né comprovare tale ermeneutica dualistica: è possibile che operino ancora oggi delle logge bianche. Ci chiediamo, però, quale sia il loro reale peso, se riusciranno a sventare i piani dei mondialisti o se siano solo la coscienza critica di un iter storico avviato verso la dissoluzione.

Ad essere sinceri, più che una lotta tra il Bene ed il Male, saremmo tentati di intravedere un agone tra il Male ed un male minore.

La situazione è ormai arrivata ad un punto di non ritorno: il cittadino, anche nelle “democrazie” occidentali, è stritolato da un meccanismo infernale; la società tutta è snaturata, ridotta ad un laboratorio per folli esperimenti compiuti da spregiudicati ingegneri politici e sociali. La propaganda ha soppiantato l’informazione; lo Stato ha fagocitato l’individuo. La "scienza" è stata risucchiata nel negazionismo più becero. Circa le condizioni ambientali è meglio tacere. Nel settore della "giustizia" i paladini della verità non sono in netta minoranza: non esistono. L'albero, infatti, si vede dai frutti. E’ ipotizzabile un’inversione di tendenza o l'implacabile tecnocrazia è destinata a trionfare? Forse conosciamo la risposta.

Il saggio di Magaldi è monumentale e coraggioso, la bibliografia molto ricca ed articolata. Non sempre condividiamo l’approccio nei confronti di certe figure di cui siamo inclini a vedere più il lato oscuro che le esibite buone intenzioni, soprattutto se protese verso obiettivi ecumenici. Non sappiamo dove finisca l’ingenuità di certi uomini pubblici e dove cominci il pragmatismo. In ogni caso, anche se abbiamo una Weltanschauung più disincantata e con qualche radice in territori di confine, consideriamo la fatica di Magaldi un ottimo strumento d’analisi. Ognuno poi con discernimento potrà trarne utili informazioni o motivi per precisare le sue concezioni. I cosiddetti fatti, fino ad ora, danno ragione all’autore che vede nelle vicende degli ultimi decenni una pericolosa deriva autoritaria a livello planetario. I "fatti" danno ragione a chi non si perde nelle oziose e superficiali letture dei risultati elettorali (di elezioni quasi sempre pilotate) o delle decisioni assunte da personaggi di facciata, da segretari di partiti-giocattolo. Sono i “fatti” e la demistificazione della loro parafrasi capziosa ad opera dell’establishment a costruire la storia, non le frasette sceme di Renzi su Twitter.

[1] A mero titolo di esempio, lo schema esegetico di Magaldi permette di comprendere l’attentato a papa Giovanni Paolo II, il pontefice vicino alla C.I.A o, secondo alcuni, a settori deviati dell’"intelligence" statunitense. L’azione fu una rappresaglia delle frange progressiste contro le consorterie liberticide che ruotavano attorno a Brzezinski, uno dei padri della Three eyes e della Trilateral, ritenute responsabili dell’omicidio Kennedy. Brzezinski fu colui che riuscì a portare sul soglio pontificio il funesto Karol Wojtyla.

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APOCALISSI ALIENE: il libro

La squola della Gelmini - di Antonio Marcianò - Gemme scolastiche da collezionare

24 gennaio, 2015

Lanciano ti dà una mano

Nel provvedimento del Tribunale di Lanciano (Abruzzo) a firma del P.M. Dottoressa Rosaria Vecchi, il sottoscritto è avvisato di conclusione indagini in merito ad una supposta diffamazione a danno del meteorologo abruzzese Angelo Ruggieri. Su tale circostanza è bene evidenziare come i commenti contestati sono palesemente vergati da altro soggetto che si spaccia per lo scrivente. Non bisogna dimenticare nemmeno che la parte lesa è in rapporti di amicizia con diversi protagonisti di altri procedimenti imbastiti a carico di Rosario Marcianò. Omettiamo qui di elencarli tutti, poiché sono già noti...



E' necessario anche osservare come il famigerato Federico De Massis (residente a Pescara e fratello di Fabio, avvocato del foro di Pescara), alias Task Force Butler, sia perfettamente a conoscenza e nei dettagli di tale ultimo procedimento, così come degli altri sette, nonché di udienze che si sono tenute presso il Tribunale di Imperia. Udienze ex novo (e non quindi rinvii) delle quali né lo scrivente né il suo legale erano stati messi a conoscenza. Tuttavia De Massis Federico... lui ne era informato! Non dimentichiamo che questo soggetto è stato più volte querelato per diffamazione, calunnia, atti persecutori, minacce, sostituzione di persona, ma nessuna Procura si è mai degnata di perseguirlo e quindi di tutelare i querelanti e cioè Antonio e Rosario Marcianò. Esiste una disparità di trattamento che esige siano ristabiliti principi di equità.



Che cosa recita il provedimento del Tribunale di Lanciano? Si afferma che è stata lesa la dignità del querelante Angelo Ruggieri e che il sottoscritto è rinviato a giudizio per il reato di diffamazione. Poi, appena al di sotto del dattiloscritto si osserva un'interpolazione (non rispondente al vero) aggiunta a posteriori da persona che non si è firmata, per cui il documento è passibile di nullità. Di chi è la nota manoscritta? Per quale motivo non riporta a fianco la firma dell'autore della... "correzione" così come prescrive la legge? Per quale motivo il documento del P.M. Dottoressa Rosaria Vecchi reca una glossa non rispondente al vero? Infatti lo scrivente, nei fatti, non è recidivo e mai ha subito condanne definitive per diffamazione! Per quale motivo il Tribunale di Lanciano nella fattispecie non competente per territorialità [1], redige e registra un porovvedimento ufficiale con postille manoscritte non rispondenti al vero? Chi è il suggeritore? Fatemi indovinare... De Massis Federico? Ne siamo certi.

Come ben si comprende, qualcuno intende fermare Marcianò con le scartoffie, ma non ci riusciranno!



[1] Il Tribunale di Lanciano non è competente per territorialità, in quanto la sede dibattimentale va ricercata nel luogo più vicino a dove sarebbe stato commesso il reato. Competenza territoriale: è l'ultima ripartizione, operante dopo l'individuazione della materia, fra i vari distretti geografici. L'art.8 c.p.p. sancisce le regole per la determinazione del giudice territorialmente competente. Innanzitutto, è competente il giudice del luogo ove è stato consumato il reato. Se a causa del reato è morto qualcuno, però, competente è il giudice dell'avvenuta azione od omissione. Nel caso di reato permanente è competente in ogni caso il giudice del luogo in cui ha avuto inizio la consumazione, mentre nel caso di delitto tentato è competente il giudice dell'ultimo atto. L'art.9 soccorre i principi generali dell'8, qualora non sono determinabili i criteri d'individuazione: il giudice competente è innanzitutto quello dell'ultimo luogo noto in cui si è svolta parte dell'azione, e qualora non fosse comunque conoscibile, competente è il giudice della residenza, della dimora oppure del domicilio dell'imputato. Se anche in questo caso fosse impossibile risalire a un criterio, competente è il giudice della sede del PM che per primo ha iscritto la notizia di reato.


[2] - Recidiva - L’articolo 99 c.p. prende in considerazione una delle circostanze legate alla persona del colpevole. La norma prevede la cd. recidiva ovvero il fatto che il reo “dopo essere stato condannato per un delitto non colposo, ne commette un altro […]”.
Per la recidiva, il Codice prevede un aumento della pena in quanto tale circostanza evidenzia un possibile nesso con concetto di capacità a delinquere (art. 133 c.p.).

- Reiterata (art. 99 quarto comma c.p.) quando il nuovo reato è commesso da chi è già recidivo. In questi casi, l’Ordinamento prevede l’applicazione di un aumento della pena fino alla metà, se si tratta di recidiva semplice o fino a due terzi, se si tratta di recidiva aggravata specifica o infraquienquennale e da uno a due terzi, se commesso durante o dopo l’esecuzione della pena o nel tempo in cui il condannato si è sottratto volontariamente alla giustizia.

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21 gennaio, 2015

Esiste la felicità?


Esiste la felicità? Per una volta la risposta è semplice: sì. Non si confonda, però, questa situazione di appagamento quasi sempre effimera, con la serenità che è del tutto incompatibile con l’esistenza: la serenità, infatti, è uno stato perenne di quiete e di imperturbabilità. Per definizione, invece, la felicità è fugace, vulnerabile. William Blake può a ragione scrivere che essa è “collocata nello spazio tra due attimi”. Montale in “Felicità raggiunta” ci insegna che essa è larvale, fragile: “barlume che vacilla, teso ghiaccio che s’incrina”.

Dunque la felicità esiste, ma è un isolotto attorniato dall’oceano immenso del dolore e della noia. Sussiste, ma solo quando l’esistenza tende a scivolare nel non essere. Supremo paradosso: per sentirsi gratificati, bisogna cominciare ad immergersi nel non essere. Non è un caso se quasi tutti gli autori più profondi evocano il piacere come uno smarrimento nell’oblio, nell’incoscienza. “E naufragar m’è dolce in questo mare” chiosa Leopardi nell’”Infinito”, vale a dire che, solo quando si dimentica il mondo e sé stessi, si assapora un istante di soavità. In modo analogo una corrente minoritaria del Buddhismo vede nel Nirvana, di solito concepito come ineffabile beatitudine di là da ogni determinazione, il Nulla, sic et simpliciter.

“Piacer figlio d’affanno”, osserva ancora il genio di Recanati. E’ vero: il diletto nasce dal contrasto con la sofferenza; quanto più i patimenti sono acerbi, tanto più dolci sono le gioie. Tuttavia conosciamo una condizione in cui la letizia non germoglia fra un groviglio di spine: è il caso dell’infanzia; allora si è giocondi, spensierati, pur senza aver esperimentato i travagli delle età successive. Nondimeno è - come si osservava - una felicità che confina con il non essere, poiché i bimbi non possiedono ancora piena coscienza né di sé né del tempo, percezione che è in primo luogo strumento di tortura. Agli adulti, imprigionati nella corazza dell’ego, la vera giocondità è negata. Sempre.

Essere felici? Se solo riuscissimo a trovare una posizione comoda! Essere felici: un miracolo più raro dell’iridio. Non indulgiamo al “pessimismo” di Schopenauer che, riflettendo sul De vita beata di Seneca, biasima lo scrittore latino non perché le sue argomentazioni non siano persuasive, ma in quanto il filosofo romano si sofferma su qualcosa che non esiste: la vita felice. Nonostante ciò, la realtà assomiglia più al capolavoro di Schopenauer che ai libri della New age.

Come dimenticare che a volte a congiurare contro una labile condizione di soddisfazione siamo noi stessi? Ci sabotiamo, roviniamo quei rari momenti di buonumore con le nostre geremiadi, il nostro incessante, inestinguibile anelito che ci trascina verso obiettivi sempre più lontani, sempre più illusori.

Infinita grandezza ed infinita miseria dell’essere umano, contraddizione vivente: egli beve alla fonte del piacere e se ne disgusta; beve alla sorgente del dolore e ne trae un’amara voluttà.

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APOCALISSI ALIENE: il libro

La squola della Gelmini - di Antonio Marcianò - Gemme scolastiche da collezionare

19 gennaio, 2015

La strana morte di Enrico Berlinguer

Enrico Berlinguer (Sassari 1922, Padova 1984) è il noto uomo politico italiano. Dopo aver aderito nel 1943 al Partito comunista, diventò segretario della sezione giovanile di Sassari. Deputato dal 1968, in quello stesso anno fu eletto vicesegretario del partito, allora diretto da Longo. Nel 1972 fu scelto come segretario del P.C.I. Nel 1973 lanciò la strategia del cosiddetto “compromesso storico”, ossia un accordo tra comunisti, socialisti e cattolici. Dopo il rapimento e l’assassinio di Aldo Moro (1978) fu uno dei principali artefici del governo denominato di “solidarietà nazionale” (marzo 1978 - gennaio 1979). L’esecutivo, guidato da Andreotti, sancì l’ingresso del P.C.I. nella maggioranza parlamentare. Durante la sua segreteria, la formazione politica assunse un atteggiamento sempre più critico verso le decisioni assunte dall’Unione delle repubbliche socialiste sovietiche. Di fronte alla corruzione dilagante, sottolineò l’importanza della questione morale. Il 7 giugno del 1984, durante il suo ultimo comizio, Berlinguer accusò un malore. Ricoverato in ospedale, morì il giorno 11 giugno.

Alcuni studiosi hanno messo in dubbio il motivo ufficiale del decesso, un ictus, ed ipotizzato che il leader politico possa essere stato vittima di una congiura. In particolare il Professor Rocco Turi, autore di un saggio intitolato “Storia segreta del P.C.I.”, ritiene che “attraverso corretti e tempestivi passaggi metodologici, forse Berlinguer avrebbe potuto avere salva la vita anche nel caso di un malessere provocato da cause diverse da quelle ufficiali. Ci fu un complotto?

Il volume del Professor Turi spiega come la morte di Berlinguer potrebbe avere un legame con la fine di Aldo Moro: “Entrambi lavoravano per realizzare in Italia il primo compromesso storico della storia repubblicana e probabilmente i servizi segreti dei Paesi dell’Est, e non soltanto loro, non riuscivano ad accettare che questo potesse accadere”.

A volte certe verità sono nascoste in plain sight, esibite ed occultate al tempo stesso... Non è il caso qui di avventurarsi in speculazioni su chi avrebbe avuto interesse ad eliminare Berlinguer: se penseremo all’internazionale dei servizi, non saremo molto lontani da una ricostruzione probabile. D’altronde lo stesso Moro fu nel mirino di potenti e sinistri apparati paragovernativi, anche se l’omicidio e l’uccisione furono addebitati in toto alle Brigate rosse, in realtà per lo meno infiltrate da strutture di “intelligence”.

Ci sembra, però, opportuno enucleare tre aspetti, oltre a quelli evidenziati dai giornalisti investigativi: questi elementi inducono a collocare la morte di Berlinguer nel novero dei numerosi omicidi politici.



• Nel discorso elettorale tenuto a Padova, Enrico Berlinguer menzionò la P2 di Licio Gelli. Evocare la famigerata loggia denota una conoscenza degli arcana imperii. E’ anche una denuncia del pernicioso ruolo rivestito da frange occulte nell'amministrazione della cosa pubblica.
• Il segretario del P.C.I. cominciò a sentirsi male, dopo aver sorseggiato, come sua abitudine, del whisky allungato con acqua: presumibilmente fu avvelenato e sappiamo chi è abituato ad usare pozioni letali per liberarsi di nemici e rivelatori. I sintomi che si manifestarono non sono quelli di un ictus, piuttosto sono riconducibili ad un avvelenamento.
• Il giorno in cui l’uomo politico italiano spirò è comunque siglato dall’usuale cifra. E’ quasi certamente una coincidenza, ma il numero 11 proietta un’ombra sinistra su questo come su molti altri oscuri accadimenti, anche di questi ultimi anni.

Sia come sia, Enrico Berlinguer, pur con tutte le tare delle ideologie e con i limiti che contraddistinguono l’azione delle élites, apparteneva ad una classe politica che non si occupava soltanto dei propri interessi. Vi sopravvivevano un’istanza etica, un’indipendenza di pensiero, una reale sollecitudine per il bene collettivo, quantunque all’interno di una condotta pragmatica e spesso contraddittoria. Per questa ragione qualcuno decise di neutralizzarlo. Oggi chi potrebbe progettare di sbarazzarsi, ad esempio, di Matteo Renzi, perfetto esemplare del pupazzo utile alla feccia mondialista per perseguire i suoi laidi scopi? Uno come Renzi, tra l’altro, non si può uccidere: quando non serve più, lo si smonta per buttarlo nel cassonetto dell’indifferenziata.

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La squola della Gelmini - di Antonio Marcianò - Gemme scolastiche da collezionare

15 gennaio, 2015

La sindrome di Stendhal


When people run in circles/It's a very, very mad world (Tears for fears)

Esiste un senso? Se contempliamo il microcosmo ed il macrocosmo, restiamo ammirati al cospetto della bellezza e della perfezione squadernate dalla natura: dalle galassie alle conchiglie, dalle costellazioni alle cellule… è uno spettacolo mozzafiato. E’ davvero improbabile che l’armonia e la complessità dell’universo originino dal caso, da un lancio di dadi.

Sì, è un mondo fantastico. Alla fine, dopo aver visitato le sale della galleria dove sono custodite le pregevoli opere d’arte, ce ne torniamo a casa storditi dalla sindrome di Stendhal. Infine, però, ci chiediamo che cosa abbiamo veramente compreso.

Così la magnificenza del Tutto non basta né per nascondere né per giustificare le fratture che attraversano il mirabile edificio: là dove l’intonaco è scrostato si intravedono crepe profonde e tarlature.

E’ come se il cosmo, da una perfezione primordiale, fosse sdrucciolato su un ripido pendio: ecco allora l’entropia, la corsa folle nelle gelide, buie immensità. Ecco persino lo spuntare della coscienza come freccia che si dirige verso sé stessa per trafiggersi. Ecco che dalla natura affiora la storia con le sue lunghissime scie di sangue.

Dov’è il punto in cui le enigmatiche interazioni fondamentali si saldano con l’esistenza degli esseri che popolano gli spazi siderali? Come si è sporto il pensiero dalla materia o, viceversa, in che maniera il pensiero si è fossilizzato nei corpi? Qualcosa si è rotto, qualcosa non ha funzionato. Le splendide fiamme di un tempo si sono incenerite nella polvere del destino. Nessuno sa perché.

La fioca luce di stelle remote si infrange sulle sponde della vita in flutti di non-senso.

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12 gennaio, 2015

Preludio


L’intreccio parigino tra fatti e grottesche finzioni televisive è stato complessivamente districato: restano da delucidare gli scopi. L’evento si inscrive in una strategia della tensione non dissimile da quella adottata in Italia soprattutto negli anni ‘70 del XX secolo, ma di respiro internazionale con il fine precipuo di esacerbare lo scontro ideologico tra Occidente e mondo musulmano, attrito foriero di un sanguinario conflitto.

Vediamo, però, uno per uno gli obiettivi dell’inside job.

• Distogliere l’attenzione dei cittadini dai problemi economici e sociali: la Francia ed altri paesi sono attanagliati da una crisi artificiale che nei prossimi anni rischia di culminare in uno spaventoso tracollo. Da quando il mondo è mondo, i regimi ricorrono allo spauracchio del “nemico esterno” affinché si dimentichino le questioni che affliggono ampi strati della società. Tra l’altro, le operazioni di “guerra climatica” si sono intensificate in maniera parossistica in questo primo scorcio di gennaio, a dimostrare che immense energie e risorse sono profuse a danno dei popoli e non a loro tutela, se non in dichiarazioni retoriche ed insincere.
• Trovare il pretesto per promulgare leggi coercitive simili al liberticida “patriot act” emanato negli Stati Uniti dopo il 9 11. Si mira specialmente a censurare, con la scusa della “sicurezza nazionale”, i pochi siti di informazione indipendente. La Rete da tempo è descritta dall’establishment come pericolosa e sovversiva: per Rete i congiurati intendono le fonti non allineate. Ci dobbiamo attendere un ulteriore giro di vite.
• Seminare la paura che è sempre un efficace strumento di controllo.
• Ammonire il governo francese incline a rivedere le sanzioni decretate contro la Federazione russa.
• I seminatori di discordia si prefiggono di inasprire i conflitti sociali interni tra comunità cristiane, musulmane ed ebraiche, secondo il solito metodo del “divide et impera”.
• Come si accennava, l’obiettivo primario, sebbene non il più vicino nel tempo, è, fomentando l’odio anti-islamico e più in generale la xenofobia, quello di scatenare una guerra mondiale. La conflagrazione porterà enormi profitti economici alla feccia sanguinaria e – fine ben più importante – consentirà di erigere il Novus ordo sulle ceneri di un assetto internazionale stravolto, irriconoscibile. La Realpolitik è sempre in auge.

Due riflessioni a margine di questo “pronostico”: siti cattolici integralisti affermano che il sistema, con le sua aberrante politica demografica, intende islamizzare il pianeta. Essi paventano che la religione del Profeta, magari in una versione fondamentalista, diventerà la più professata sulla Terra anche in nazioni in cui oggi è minoritaria; se si considerano, però, il carteggio Pike-Mazzini ed altri documenti, sembra che il credo mondiale sarà l’empio culto degli Oscurati, non l’Islam, oggetto – come avvisò Werner Von Braun – di una strumentale campagna di diffamazione. Cristiani, Ebrei e Musulmani dovrebbero essere aizzati a sterminarsi tra loro, complici i partiti che gettano benzina sul fuoco del più ignorante e becero sciovinismo.

Gli innumerevoli errori nella sceneggiatura del vaudeville parigino, siano essi il risultato di faciloneria o sfide o esperimenti per saggiare il grado di comprensione ancora presente in una frangia dell’opinione pubblica, sono un’opportunità forse unica per smascherare gli apparati e per portare alla luce i loro piani di distruzione e di morte. E’ una chance che ci è offerta: di fronte alle innumerevoli incongruenze e bizzarrie della balzana tesi ufficiale, anche persone abituate a sfamarsi nel trogolo televisivo cominciano ad essere sfiorate da qualche dubbio. E’ necessario più che mai favorire una presa di coscienza, una delegittimazione dei media ufficiali, puntando ad esautorare i cosiddetti potenti.

Se non prendiamo questo treno, rischiamo di dover salire sul convoglio che ci porterà all’inferno.

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09 gennaio, 2015

Esiste l’Inferno?


Esiste l’Inferno? Prevengo un’obiezione: “L’Inferno è sulla Terra: basta visitare un carcere, un ospedale, una caserma, un macello... per constatare che il nostro martoriato pianeta è una bolgia”. Tuttavia all’”Inferno sulla Terra” manca un requisito affinché sia un “perfetto” luogo di dannazione: l’interminabilità.

Di solito gli allievi che cominciano a studiare Dante restano sgomenti di fronte ai raffinati contrappassi che il Poeta escogita per i peccatori e soprattutto quando si figurano pene destinate a durare per sempre. Gli adolescenti, che di solito ignorano le tenaglie del male, ritengono la dannazione eterna sia un’idea inammissibile, frutto di una mente sadica. Quanti spiegano loro che probabilmente l’Alighieri intende i tre regni dell’oltretomba secondo una concezione esoterica, in cui l’Inferno stesso adombra un itinerario che ciascuno di noi deve compiere nelle regioni dell’Ombra!

Non manca, però, chi considera in modo letterale sia la Gehenna dantesca sia l’Inferno della religione cristiana e del credo islamico. Un’esigenza di giustizia induce a ritenere che i malvagi impenitenti dovranno pagare il fio con una punizione destinata a non finire mai, anzi a divenire ancora più atroce dopo il Giudizio universale.

Alcuni, sulla scorta di Agostino, pensando che la stragrande maggioranza dell’umanità sia preda del peccato ed irredimibile, immaginano un Paradiso semivuoto e ad un Ade brulicante di anime dannate. Oggidì molti esponenti del clero tendono a presentare la condizione infernale come uno stato di volontaria separazione dal Creatore.

Esiste l’Inferno? E’ un po’ come chiedersi se esista Dio o il libero arbitrio. Sono quesiti che ci bloccano in una sorta di punto di Lagrange concettuale: qui l’intelletto non riesce a muoversi né in una direzione né in un’altra, senza poter dirimere la vexata quaestio. Non potendo la ragione ottenere un risultato soddisfacente, deve subentrare la fede o la scommessa di Blaise Pascal.

Da un lato, infatti, ripugna la feroce idea di un Inferno senza termine anche per coloro le cui colpe non sono gravissime, dall’altro non è meno raggelante il pensiero che esseri istigati da una cattiveria pura, assoluta (si vedano molti negazionisti ed i massacratori della Vita per citare solo due esempi estremi) possano un giorno anche lontanissimo essere perdonati, in un’apocatastasi di origeniana memoria. Forse queste “anime prave” dovrebbero essere annientate: per costoro, visto l’egocentrismo che li soggioga, è prospettiva senza dubbio spaventosa quanto una condanna infinita.

Non aveva torto l’archeologo e storico Mario Pincherle a chiedersi: “Dove sarebbe la ‘buona novella’ del Cristianesimo? Sarebbe l’annuncio che, se compi anche un solo errore in un’unica vita, sarai precipitato nel ‘lago di zolfo’ per l’eternità?”

Può darsi che l’indagine sul destino oltremondano sia il risultato di un’etica “umana, troppo umana” e che il sublime disegno cosmico trascenda le limitate speculazioni persino dei più alti filosofi e teologi. Nulla si può escludere né in un senso né in un altro.

Certo, se esiste l’Inferno, comunque lo si concepisca, esso ci pare una macula della Creazione, qualcosa che coesisterà (per sempre?) con la Perfezione universale una volta in cui essa sarà conseguita, se ciò mai avverrà. L’ideale sarebbe stato evitare che il male assumesse proporzioni tali da spronare gli uomini ad abbozzare dottrine che tentano sia di spiegare la genesi e la funzione del mysterium iniquitatis sia un suo futuro superamento nelle forme più disparate. E’ evidente, però, che è tardi, troppo tardi.

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05 gennaio, 2015

Infiltrazione


Notte del 30 maggio 1974, Rhodesia-Repubblica sudafricana. I coniugi Peter e Frances Mac Norman si stavano dirigendo in auto da Salisbury, Rhodesia (oggi Zimbabwe) verso la Repubblica sudafricana. Circa 10 chilometri (6 miglia) a sud di Umvuma, Peter vide un uomo sul ciglio della strada: era fasciato in una tuta scintillante e teneva una scatola in mano. La figura all’improvviso sembrò svanire. Alle 2:30, Frances notò un bagliore sul lato sinistro del veicolo: la luce pareva seguire l’auto. I fari cominciarono ad affievolirsi: infine si spensero, mentre l’autoradio stranamente funzionava ancora.

Di botto la vettura prese ad accelerare, toccando le 93 miglia all'ora (150 km all’ora). Il conducente provò a rallentare, ma invano: ormai non aveva più il controllo del mezzo che sfrecciava a fari spenti nell’oscurità.

Appena a nord di Port Victoria, Peter, riacquistato il controllo della Peugeot 404, si fermò in una stazione di servizio. Erano le 4:30. I coniugi, approvvigionatisi di carburante, ripresero il viaggio, avviandosi verso la località di Beit Bridge sul fiume Limpopo.

La coppia si ritrovò in un paesaggio di bassi cespugli, erba alta ed acquitrini. Ancora una volta, Peter perse completamente il controllo della vettura che raggiunse i 200 km orari. La strada da Fort Victoria a Beit Bridge, tortuosa, piena di tornanti, quella notte era rettilinea!

Finalmente i due giunsero a destinazione. Erano le 8:30, anche se i loro orologi ed il cronometro sul cruscotto della Peugeot segnavano tutti le 7:30. I protagonisti di questa bizzarra storia avevano avuto un'ora di missing time. Fort Victoria, in Rhodesia, dista da Beit Bridge, nella Repubblica sudafricana, 228 km: dopo un viaggio del genere, il serbatoio della Peugeot sarebbe dovuto essere quasi vuoto, ma l’uomo lo trovò pieno. Peter fu ancora più sbalordito, quando osservò le gomme. A Salisbury (oggi Harare) Peter aveva montato dei Michelin rigenerati, perché aveva intenzione di acquistare quattro nuovi pneumatici ad un prezzo conveniente in Sud Africa. Si accorse, però, che i copertoni rigenerati erano spariti, sostituiti da gomme radiali della Michelin. Peter non ricordava di aver cambiato gli pneumatici lungo la strada.

Più tardi la coppia si sottopose ad una regressione ipnotica. I due raccontarono una vicenda incredibile a proposito di un alieno luminoso che si era sistemato sul sedile posteriore della Peugeot che era poi levitata in un ordigno volante. Peter rammentò di essere stato portato su un disco e di essere stato sottoposto ad un esame medico in una specie di infermeria dove vide sua moglie e molti altri esseri umani che sembravano in uno stato di trance. Il rapito scorse anche la Peugeot in un hangar a bordo. Il cofano della vettura era stato sollevato, mentre alcuni alieni macrocefali armeggiavano attorno al motore.

Inquietante è ciò che riporta Quinto Narducci a proposito dei ricordi emersi grazie alla seduta di ipnosi regressiva: Peter Mac Norman descrisse degli ufonauti almeno all’apparenza asessuati, provenienti da una lontana galassia e che viaggiano attraverso lo spazio-tempo. Queste creature che, stando ai due testimoni, sarebbero pacifiche e dotate di sbalorditive conoscenze scientifico-tecnologiche, si sono infiltrate sulla Terra per cambiarla (terraformazione al contrario?), per introdurre il loro sistema ed il loro stile di vita. Gli intrusi sono tra noi: sono impiegati, ma soprattutto uomini d’affari, ufficiali dell’esercito, politici ai vertici di molti stati.

Come in una pellicola fantascientifica, Essi si introducono di soppiatto, occupando i gangli vitali del pianeta per predisporlo in modo lento ma irreversibile al loro dominio. E’ uno scenario non molto dissimile dal disegno delineato da quei ricercatori che fondono l’ufologia con la storia segreta, una storia molto tetra e minacciosa.

Fonti:

Q. Narducci, Pianeta Terra - Ibridazione in atto, 2009, pp. 57-59
J. Spencer, World Atlas U.F.O., New York, 1991, pp. 149-151


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01 gennaio, 2015

Esiste il male?


Il materialismo e lo spiritualismo sono soperchierie. (C. G. Jung)

Un po’ di tempo fa ho incontrato alcuni miei ex allievi con cui ho avuto il piacere di sviscerare, quasi fosse un dialogo di Platone, alcuni argomenti abissali.

Abbiamo deciso di stabilire il presupposto secondo cui il male non esiste. Tutti gli esseri viventi, in misura maggiore o minore, lo sperimentano, ma si può arguire che il male oggettivamente sussiste? E’ sufficiente una valutazione personale per attestarne la presenza?

Gli atei e materialisti, manifestando ragionevolezza, negano la presenza del male, poiché reputano che tutto avvenga secondo necessarie leggi di natura. Se il ghepardo sbrana la gazzella, siamo di fronte ad una situazione del tutto naturale. Anche se un astro, esplodendo, causa la fine di numerose e raffinate civiltà galattiche, assistiamo ancora ad un evento normale, inscritto nei processi fisici del cosmo. La natura è quel che è: ciò che gli uomini percepiscono come doloroso o ingiusto, dipende solo da un giudizio di valore, giacché non sussiste nelle cose. Secondo tale concezione, ha torto Siddharta Gautama quando lamenta che “la vita è dolore”. No, la vita è così e basta. La natura può sembrare crudele, ma è perfetta.

In modo quasi paradossale i new agers, che si piccano di essere spiritualisti, sono d’accordo con i materialisti: essi ripetono che “tutto è perfetto”. Secondo questa interpretazione, pure il caso-limite di uno psicopatico che tortura un bambino per settimane e che lo uccide dopo aver inflitto alla vittima inaudite sofferenze, sarebbe razionale, possedendo una sua logica indefettibile. E’ spiegato con i soliti argomenti: il karma e la necessità di evolvere. Una summa di questo pensiero si può leggere in un articolo di Luciano Giannazza intitolato “E’ colpa tua”: stando all’autore tutto quello che ci accade, di bello e di brutto, sarebbe stato deciso da noi a priori per evolvere… c’est naturel! Prendiamo un altro caso estremo: il giovane che qualche giorno addietro è stato ustionato con l’acido da una sua ex fidanzata, prima di rinascere, avrebbe stabilito che per lui sarebbe stato molto istruttivo e di enorme giovamento sul piano spirituale incorrere in questo piccolo contrattempo. Et voilà: è stato accontentato!

E’ ovvio che sia i materialisti sia i new agers inciampano in alcune difficoltà teoriche, ma i primi sono maggiormente da apprezzare: infatti, con coerenza, negano il male ma pure Dio e l’immortalità dell’anima. Certo non sanno spiegare né come né perché sorga il male umano, quel surplus di violenza del tutto incompatibile con la struggle for life. Uccidere per sopravvivere è un fatto di natura, ma il seviziare ha una funzione darwiniana? E’ indubbio: anche certi animali seviziano, ma tale comportamento sembra avere una sua valenza biologica: la gatta che tormenta il topolino, dopo averlo catturato, insegna ai gattini come cacciare le prede.

Nel complesso le aporie che devono affrontare i materialisti sono meno ostiche di quelle su cui scivolano i new agers. I materialisti abbracciano anche l’idea del determinismo che è una forma di fatalismo: tutto avviene secondo precise leggi di natura. Giustamente essi non si interrogano sul problema del male, ma sbagliano, come i new agers, quando s’impegnano in crociate contro la superstizione e le ingiustizie sulla Terra. Se non sussiste il male, non ha ragion d’essere neppure l’etica, che è distinzione tra bene e male: perciò di fronte alle sciagure, alle guerre, all’ignoranza, all’oscurantismo, il vero ateo materialista deve rimanere indifferente, come è imperturbabile al cospetto di un ragno che divora un insetto.

Gli “spiritualisti”, invece, vogliono salvare capra e cavoli: affermano il libero arbitrio, ma lo neutralizzano con l’idea del karma; dichiarano che tutto è perfetto, compiuto, ma spronano gli uomini affinché maturino ed evolvano; siamo noi a costruire l’esistenza ed il mondo, ma seguendo un percorso predeterminato a priori in modo inconsapevole. Ne risulta un guazzabuglio, un’accozzaglia di sciocchezze in cui ogni concetto si disintegra in una contraddizione insanabile. Il fatalismo più radicale si incista nella più recisa affermazione della libertà umana.

A proposito di incongruenze, ho notato che alcuni atei e materialisti sono propensi a credere nell’immortalità dell’anima. Ebbene, questa è una gigantesca, irriducibile incoerenza: se, infatti, esiste solo la materia-energia, l’eternità è prerogativa delle particelle del tutto prive di coscienza. Dopo il decesso ci attende il nulla e non è poi una prospettiva così spaventosa, se ricordiamo l’insegnamento di Epicuro. La sopravvivenza dell’individuo dopo la morte fisica presuppone che esista un quid immateriale ed imperituro di cui siamo parte o manifestazione: se non ci piace chiamarlo Dio, definiamolo Anima, Coscienza, Assoluto, Essenza, Essere… Raffiguriamolo anche in modo diverso da come lo presentano le religioni tradizionali, magari come un Dio imperfetto o qualcosa del genere, ma non è consequenziale escluderlo. Un irreligioso non può stare con il piede in due staffe: respingere Dio e, nel contempo, aspettarsi di continuare a vivere in un altro piano, per la “contradizion che no’l consente”.

Tornando al tema del male, è evidente che le argomentazioni dei miscredenti sono, tutto sommato, persuasive, se si prescinde da almeno un aspetto. Il male, che essi riescono ad espellere dalla porta, rientra dalla finestra, quando si considera che l’universo è intrinsecamente irrazionale, solo per il motivo che esiste. Ora l’irrazionalità, sebbene non sia sinonimo di male, implica un risvolto illogico, una mancanza di senso che ci obbligano poi ad arrampicarci sugli specchi per tentare di spiegare l’inspiegabile. Solo il Nulla è perfetto, ma il Nulla non esiste. Visto che qualcosa esiste, quel qualcosa, porta su di sé, come una tartaruga il carapace, il problema del male. Esistere (ex-sistere, ossia stare fuori) significa essere collocato nello spazio e nel tempo: spazio e tempo contengono in sé l’entropia, l’imperfezione che sono difetti del tutto.

Infine la “realtà” è codificata attraverso la lingua: essa, anzi, per molti versi precede e fonda il “reale”. Dunque se le comunità linguistiche hanno sentito l’esigenza di coniare un termine per designare il male, esso in qualche maniera esiste. Esiste nel lògos (discorso) e, in ragione di una corrispondenza biunivoca e sincronica, esiste pure nel mondo.

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